PM&AL 2012;6(4)107-110.html

La malattia indennizzabile

Compensable illness

Giuseppe Vitiello 1

1 Coordinatore medico-legale regionale INPS Piemonte

Corresponding authors

Prof. Giuseppe Vitiello

giuseppe.vitiello@inps.it

Disclosure

L'Autore dichiara di non avere conflitti di interesse in merito ai temi trattati nel presente articolo

 

L’assicurazione contro le malattie gestita dall’INPS ruota intorno al concetto di “malattia indennizzabile”, la cui nozione non è definita da una singola norma di riferimento, ma deve essere dedotta dall’insieme delle disposizioni che disciplinano i fondamenti giuridici dell’istituto, le modalità di denuncia dell’evento e dell’accertamento medico legale del rischio.

Nella gerarchia delle fonti il primo posto spetta al comma 2 dell’art. 38 della Costituzione, il quale stabilisce che «ai lavoratori hanno diritto siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di malattia». Questo precetto costituzionale trova concreta applicazione sia nell’art. 2110 c.c. che nella legislazione sociale.

L’art. 2110 c.c., come noto, disciplina i rapporti tra soggetti privati, lavoratori e datori di lavoro, prevedendo in favore dei primi la corresponsione della retribuzione o di un’indennità in caso di malattia, la conservazione del posto di lavoro e l’accredito figurativo della contribuzione. La lettura della norma dimostra che il danno biologico rappresentato dalla malattia rileva ai fini del diritto all’indennità economica solo quando costituisca l’antecedente causale del danno conseguenza, rappresentato dalla temporanea impossibilità ad adempiere alla prestazione lavorativa: ed è alla riparazione di questo danno-conseguenza che vuole adempiere la norma di diritto comune.

Nella legislazione sociale la prima norma di riferimento è l’art. 2, comma 1, Legge 29 febbraio 1980 n. 33, così come modificato dalla Legge 23 aprile 1981 n. 155, il quale stabilisce che l’indennità economica è dovuta nel caso di malattia comportante incapacità lavorativa: trattasi di disposizione importante, anche se non innovativa, in quanto riprendeva nella sostanza quanto già previsto dall’art. 6 Legge n. 138 del 11 gennaio 1943.

La qualificazione del rischio assicurato fu confermata dall’art. 5, comma 10, Legge 11 novembre 1983 n. 638, la quale delineò le caratteristiche del servizio «deputato al controllo dello stato di malattia dei lavoratori per tali cause assentatisi dal lavoro».

Il D.M. Sanità 8 gennaio 1985 a sua volta stabilì che «il medico che provvede al controllo dello stato di malattia conferma o meno l’esistenza di una malattia che produca incapacità al lavoro»; mentre il successivo D.M. Lavoro e previdenza sociale del 15 luglio 1986, con l’art. 6, precisò a sua volta che il medico di controllo nell’assolvimento del suo incarico è tenuto a redigere un referto dal quale risultano la diagnosi, la prognosi e l’incapacità o la capacità al lavoro riscontrata. Sul versante giurisprudenziale va segnalato che sin da epoca antecedente l’istituzione del Servizio sanitario nazionale la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 67 del 25 marzo 1975, aveva affermato che «l’indennità di malattia avrebbe dovuto essere attribuita non tanto per la sussistenza di un’incapacità lavorativa, quanto in ragione di un’astensione dal lavoro che trovi ragione, diretta o indiretta, nella malattia del lavoratore, e quindi anche solo nella necessità di fruire delle opportune cure».

Successivamente, pronunciandosi in tema di spettanza del diritto all’indennità di malattia durante la fruizione di un periodo di cure termali, la stessa Corte, con la sentenza 10 dicembre 1987 n. 559, ha precisato che «l’art. 2110 c.c. non considera malattia solo gli stati patologici acuti, ma anche i momenti curativi delle affezioni croniche le quali sono malattie allo stesso titolo di quelle acute e inoltre che la tutela apprestata da detta norma opera anche quando vi sia l’esigenza di sottoporsi ad accertamenti clinici resi necessari dall’insorgenza di sintomi di gravissime malattie, di effettuare un ricovero ospedaliero per l’esecuzione di accertamenti prodromici ad interventi chirurgici, o di praticare interventi terapeutici programmabili nel tempo».

La Corte di Cassazione, intervenendo su questioni analoghe, ha a sua volta affermato secondo cui «il concetto di malattia non può essere ristretto ai casi di impossibilità assoluta di lavorare, dovendo esso, alla stregua dell’art. 32 Cost., essere definito come instabilità della salute in senso lato, tale da rendere la persona bisognevole di cure e attenzioni» [1]. Seguendo questa linea le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono pervenute al principio per il quale «lo stato di malattia è un caso di impossibilità temporanea sopravvenuta della prestazione lavorativa», precisando, nella fondamentale sentenza n. 5634 del 17 ottobre 1988, che la malattia indennizzabile è «lo stato patologico che richiede per fattive esigenze curative o riabilitative la sottoposizione a cure», e che per incapacità lavorativa si deve intendere «l’impossibilità alla prestazione lavorativa, riferibile alla persona del lavoratore ma a lui non imputabile, legata mediante un nesso di causalità mediato ed indiretto ad uno stato patologico che richiede per effettive esigenze curative o riabilitative la sottoposizione a cure».

Sul piano dottrinario già nel 1954 il Frache [2], con grande lucidità e in perfetta aderenza alle problematiche specifiche della Legge 11 gennaio 1943 n. 138, relative all’erogazione dell’indennità di malattia, aveva annotato:­ «Al concetto di malattia, sotto questo punto di vista, va data un’interpretazione assai meno estensiva di quella proposta per il diritto all’assistenza sanitaria e farmaceutica: infatti è condizione indispensabile che lo stato morboso sia tale da determinare incapacità temporanea al lavoro, specifico si intende. In altri termini, lo stato morboso deve privare il lavoratore della sua capacità di guadagno, talché non è errato identificare la prestazione economica in un parziale compenso per il mancato guadagno».

In tale senso è stata successivamente l’opinione di altri Autori, secondo cui la malattia assicurabile è «quell’alterazione attuale dello stato di salute che richiede cure mediche e riposo e comporta un’incapacità lavorarvi specifica» [3], ovvero «quell’alterazione dello stato di salute non altrimenti indennizzabile, che determina l’assoluta e temporanea impossibilità di adempiere alla prestazione lavorativa» [4], o ancora «l’infermità che direttamente o indirettamente è causa di incapacità lavorativa, ricomprendendo di fatto anche l’impossibilità lavorativa che si realizza in quelle condizioni che non consentono di attualizzare la capacità lavorativa» [5].

In sintesi possiamo dire che la malattia indennizzabile è quella che comporti un’incapacità lavorativa che sia al tempo stesso assoluta, temporanea e specifica. Assoluta, nel senso che l’incapacità lavorativa determinata dalla malattia deve essere tale, sotto il profilo quali-quantitativo, da rendere impossibile lo svolgimento dell’attività lavorativa; in altri termini, non è prospettabile l’ipotesi di una malattia che sia causa di una parziale incapacità lavorativa, potendosi avere solo il caso di soggetti che possono o non possono attendere senza danno, pericolo o dolore al lavoro.

Temporanea, nel senso che tale incapacità lavorativa determinata dalla malattia deve durare un tempo più o meno lungo, ma comunque limitato; la temporaneità si contrappone alla permanenza, che è attributo degli stati di invalidità e non di malattia. «Mentre tale requisito non pone particolari problemi in caso di malattie acute o di riacutizzazioni o complicazione di forme croniche, non infrequentemente problemi di non facile soluzione si pongono al sanitario per l’equivoco che si viene a creare tra l’incapacità temporanea e la stabilizzazione di una malattia quale esito a carattere permanente di un insulto naturale o traumatico: in questo ambito si osservano molto spesso prognosi di inabilità temporanea che travalicano abnormemente quella stabilizzazione della lesione che viene a concretizzarsi nel momento in cui si ha la perdita del dinamismo evolutivo» [6].

Appare quindi utile ricordare quanto scriveva il Pellegrini: «Il consolidamento si ottiene quando una lesione o una disfunzione non è presumibilmente più suscettibile di evoluzione […] il consolidamento segna il cessare dell’incapacità temporanea, in pregiudicato restando se ad essa segua, o no, una invalidità permanente» [7].

Questo principio, perfettamente condivisibile sul piano teorico, può creare delle difficoltà nel caso in cui si tratti di certificare il recupero della capacità lavorativa in un soggetto che a causa di postumi insuscettibili di miglioramento sia da considerarsi inidoneo alle sue mansioni.

Il problema nasce dal fatto che nell’assicurazione di malattia la possibilità che il lavoratore possa non essere più in grado di ritornare a svolgere le proprie mansioni non viene presa in alcuna considerazione: questo fatto determina che di solito il medico curante, di fronte all’alternativa di rinviare al lavoro un soggetto non più malato ma inidoneo, ovvero di confermare la sussistenza dell’incapacità lavorativa, opterà per la seconda possibilità.

Questa scelta, per quanto rispettosa del diritto alla salute del lavoratore, fa discendere di fatto da un giudizio medico legale di inidoneità lavorativa il diritto all’indennità temporanea di malattia per un arco temporale che risulta limitato non già da fatti biologici, ma dal compimento del periodo massimo di indennizzabilità fissato dalla legge.

Al di là delle soluzioni giurisprudenziali, di cui diremo appresso, è evidente che la possibilità di riconoscere il diritto all’indennità di malattia a soggetti che di fatto sono permanentemente inidonei allo svolgimento delle proprie mansioni, per un periodo che è determinato solo dal fatto che la legge fissa un limite temporale allo stesso, rappresenta solo una fictio iuris derivante dal fatto che nel nostro Paese la tutela del rischio generico da invalidità temporanea e permanente è stata disciplinata da normative non coordinate tra loro, a differenza invece di quanto è stato fatto per il rischio professionale.

Infatti, in ambito INAIL esistono norme che prevedono uno stretto ed efficace coordinamento tra le prestazioni indennitarie, per cui la durata dell’inabilità temporanea assoluta è illimitata – e non prefissata per legge – e alla sua cessazione si procede all’accertamento dei postumi e alla stima dell’incidenza degli stessi sull’attitudine al lavoro.

Nell’invalidità pensionabile, invece, non esistono norme del genere. L’art. 1 della Legge 12 giugno 1984 n. 222 prevede infatti la possibilità che il soggetto riconosciuto invalido con diritto all’assegno ordinario possa continuare a svolgere un’attività lavorativa, con diritto all’indennità di malattia per gli eventuali periodi di incapacità lavorativa temporanea, assoluta e specifica, anche se determinati dalle stesse patologie che hanno portato al riconoscimento dell’invalidità. L’art. 2 della stessa Legge a sua volta prevede che la pensione di inabilità sia corrisposta dal primo giorno del mese successivo alla rinuncia ai trattamenti sostitutivi della retribuzione, tra cui è compresa l’indennità di malattia, con previsione quindi di un coerente raccordo tra l’assicurazione malattia e l’assicurazione generale obbligatoria; sul punto, tuttavia, la Corte di Cassazione [8] ha specificato che la rinuncia ai trattamenti derivanti dalla sussistenza del rapporto di lavoro (retribuzione e indennità di malattia) non rappresenta un requisito costitutivo del diritto a pensione, ma una mera condizione di erogabilità della stessa, ammettendo la possibilità che un soggetto giunto allo stato terminale della malattia possa continuare a percepire l’indennità di malattia in virtù del vinculum iuris del rapporto pure in presenza di un chiaro stato di inabilità.

Specifica, nel senso che l’incapacità lavorativa determinata dalla malattia deve essere rapportata alla specifica mansione del lavoratore, non essendo pensabile che questi, durante un evento morboso, possa dedicarsi in via temporanea ad altra attività astrattamente compatibile.

Il requisito della specificità è stato peraltro variamente interpretato nella dottrina.

Secondo Carrara [9] la capacità lavorativa specifica è la somma delle energie e abilità fisiche e psichiche di cui l’assicurato dispone per l’esecuzione di un dato mestiere; per Palmieri [10] è la capacità lavorativa riferita al mestiere esercitato; per Gerin [11] è la capacità lavorativa, che a sua volta consta di una base biologica (validità psicofisica), attitudinale (disposizione naturale psicofisica verso una determinata attività) e tecnica (preparazione tecnica), riferita a un determinato mestiere o a una determinata mansione svolta dal soggetto; per Martini e Di Nardo [3] l’incapacità specifica è la somma di una base biologica (validità psicofisica), di una culturale (preparazione tecnica) e di una attitudinale (disposizione naturale psicofisica a una determinata attività).

Il riferimento al lavoro specifico fa sì che la durata dell’incapacità lavorativa non debba necessariamente coincidere con la durata della malattia (o della riacutizzazione della malattia cronica), potendo essere minore quando i sintomi clinici e le esigenze terapeutiche non contrastino con il regolare disimpegno delle mansioni lavorative, o maggiore quando si rende necessario un periodo di convalescenza finalizzato al pieno recupero delle energie psicofisiche che potrebbe risultare compromesso da un’affrettata ripresa del lavoro ovvero quando si debbano effettuare trattamenti riabilitativi. In particolare, il periodo riabilitativo è indennizzabile quando l’indicazione al trattamento sia quella di conseguire il recupero delle funzioni essenziali ai fini dello svolgimento dell’attività lavorativa; negli altri casi, la sola circostanza di dover praticare trattamenti fisioterapici, che di regola possono essere effettuati fuori dall’orario di lavoro, non costituisce motivo di sospensione dell’attività lavorativa ex art. 2110 c.c.

Sul piano pratico applicativo l’INPS, tenendo conto anche delle interpretazioni giurisprudenziali, ha individuato una serie di ipotesi per le quali si può ammettere la tutela previdenziale in quanto rappresentano altrettanti esempi di “malattia indennizzabile”, pur facendo riferimento a situazioni non direttamente collegabili all’alterazione psicofisica del lavoratore.

Ci riferiamo, in particolare, alle disposizioni relative ai ricoveri ospedalieri, ivi compresi quelli in regime di day hospital e gli accessi in pronto soccorso (Circolare 25 luglio 2003 n. 136; Messaggio 12 febbraio 2008 n. 3701); ai cicli di cure ricorrenti (Circolare 25 luglio 2003 n. 136); all’emodialisi e all’emotrasfusione (Circolare 1 marzo 1984 n. 134414); alle donazioni d’organo (Circolare 7 ottobre 1996 n. 192); alla tossicodipendenza e soggiorno in comunità terapeutica (Circolare 25 luglio 2003 n. 136).

Alcune situazioni hanno assunto nel corso degli anni un rilievo interessante, sia sotto il profilo più strettamente teorico-concettuale, sia nei loro risvolti giurisprudenziali, discutendosi sul diritto del lavoratore alle prestazioni dell’assicurazione malattia, sulla base della configurabilità o meno di una “malattia indennizzabile”.

Ci riferiamo in particolare ai problemi connessi alla chirurgia estetica, alle malattie cosiddette “croniche”, alle malattie insorgenti nel corso di un periodo di ferie, e alla malattia derivante dalla sottoposizione a tecniche di procreazione medicalmente assistita.

Tali situazioni saranno analizzate più approfonditamente negli articoli pubblicati in questo numero della rivista.

Bibliografia

  1. Cassazione civile, sez. lavoro, sentenza n. 4957 del 1 agosto 1986
  2. Frache G. La definizione del rischio nell’assicurazione malattia. Zacchia 1954; XIX: 4
  3. Martini M, Di Nardo R. L’idoneità al lavoro: ermeneutica medico-legale e aspetti metodologici-applicativi. Rassegna di Medicina Legale Previdenziale 1990; 47: 1-2
  4. Ricci P, Martignetti V, Pellegrini C, et al. Evoluzione del concetto di rischio nell’assicurazione sociale di malattia: dalla malattia assistibile alla malattia indennizzabile. Difesa Sociale 1998; 5
  5. Belloni M. L’indennità di malattia. Valutazione prognostica in ambito Inps. Rassegna di Medicina Legale Previdenziale 1998; 1: 1
  6. Genzale V, Vitulano B. Il certificato di malattia o di incapacità temporanea al lavoro. Problemi medico legali in ambito previdenziale. Rassegna di Medicina Legale Previdenziale 1997; 2
  7. Pellegrini R. Trattato di medicina legale e delle assicurazioni. Vol. III. Padova: Cedam, 1966
  8. Cassazione civile, sezioni unite, sentenza n. 7783 del 14 luglio 1993
  9. Carrara M, Romanese R, Canuto G, et al. Manuale di Medicina Legale. Torino: UTET, 1938
  10. Palmieri VM. Medicina legale assicurativa. Vol. II. Milano: Vallardi, 1940
  11. Gerin C. Medicina legale e delle assicurazioni. Roma: CAS, 1966

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