PM&AL 2013;7(1)11-15.html

Etica e rianimazione. L’ordine di non rianimare in Italia: mito o realtà?

Cristina Santonocito 1, Filippo Sanfilippo 1, Antonino Gullo 2

1 Medico anestesista-rianimatore, Unità di Chirurgia Cardiotoracica, John Radcliffe Hospital, Oxford, UK

2 Direttore Dipartimento di Anestesia e Rianimazione, Azienda ospedaliera-universitaria G. Rodolico Policlinico-Vittorio Emanuele, Catania, Italy

Abstract

Resuscitation has the ability to reverse death. However, it may also prolong terminal illness, increasing discomfort and consuming resources. Do Not Resuscitate (DNR) order and Advanced Directives (ADs) are well-debated in critical care medicine. On the legislation of DNR order and ADs it is well known the impact by variety of beliefs, thoughts and religions; this has largely contributed to diverse approaches in different Countries. The main critical issues in Italy remain the presence of different ethical principles and the missing common law. To clarify this issue and to achieve a consensus we believe in the priority of continuing education and training programs for physicians, nurses and healthcare professionals. With a careful ethical consideration it would be possible undertaking the right way to avoid futile and aggressive care. There is evidence of the lack of policies of DNR order around the world and in Italy as well. The need of standardization in the 21st century appears clear. To improve the attitude about DNR order and avoid confusion, it is necessary to achieve several goals: increasing the communication between healthcare providers and patients, achieving legal consensus, and increasing trust among patient and families.

Keywords: DNR order; Ethics; Medical professionalism

Ethics and resuscitation. "Do not resuscitate" order in Italy: mith or reality?

Pratica Medica & Aspetti Legali 2013; 7(1): 11-15

Corresponding author

Dott.ssa Cristina Santonocito

cristina.santonocito@gmail.com

Disclosure

Gli autori dichiarano di non avere conflitti di interesse in merito ai temi trattati nel presente articolo

Introduzione

La realtà internazionale attuale (USA, Paesi Scandinavi, UK, Belgio, ecc.), seppur in presenza di un acceso dibattito, riconosce l’ordine “Do not resuscitate” (DNR - di non rianimare) come parte delle Direttive Anticipate (DA) di fine vita [1]. Per una migliore comprensione del ruolo delle varie forme di DA, e in particolare del DNR order, bisogna notare come i principi morali alla base di esse siano gli stessi osservati per il “consenso informato”. La base morale del consenso informato è infatti il rispetto della volontà del paziente, e lo stesso è presupposto fondamentale per le DA e in particolare per il DNR order, con particolare riferimento ai quattro principi cardinali dell’etica (Tabella I) [2].

Autonomia

Diritto del paziente di accettare o rifiutare un trattamento

Non nocere

Non arrecare danno o ulteriore sofferenza

Apportare beneficio

Agire per il bene del paziente nel miglior interesse del singolo individuo bilanciando rischi e benefici

Giustizia

Equa distribuzione delle risorse sanitarie all’interno della società; decidere quale paziente deve ricevere un determinato trattamento (equità e correttezza)

Tabella I. I quattro principi cardinali dell’etica [2]

Il DNR order e le DA rappresentano la comunicazione preventiva da parte del paziente del proprio rifiuto pro-attivo e informato di ricevere atti terapeutici nel caso di un futuro stato di incapacità comunicativa che impedisca una partecipazione attiva nella decisione. Il DNR order costituisce una delle più importanti DA per le sue potenziali drammatiche e irreversibili conseguenze [3]. Tramite il DNR order, infatti, il paziente esprime la sua volontà, in genere scritta, di non essere soggetto a rianimazione cardiopolmonare (RCP) ed eventualmente a cure intensive, in determinate circostanze considerate come futili e causa di “accanimento terapeutico” (overtreatment). La RCP ha la capacità di evitare la morte improvvisa, ma può anche prolungare malattie terminali, accrescere la sofferenza dell’individuo e dei suoi familiari, peraltro determinando un ingente consumo di risorse umane ed economiche [4].

Il DNR order rappresenta quindi un utile strumento per evitare trattamenti medici “futili” che seriamente rischiano di non apportare reali benefici al paziente. In passato, un trattamento medico era definito “futile” qualora non apportasse alcun beneficio o nel caso in cui fosse inefficace e inappropriato [5]. Recentemente, questa definizione è stata modificata considerando “futile” un atto medico che non sia capace di ripristinare, mantenere e possibilmente migliorare la vita di cui il paziente può avere percezione [5]. Pertanto, se un intervento è considerato inefficace, il medico non ha alcun obbligo etico nel proporlo, o continuarlo.

Aspetti legali del DNR order

In ambito internazionale, aspetti etici e legali sostengono che i pazienti devono ricevere trattamenti medici rianimatori in ogni caso sia necessario, tranne nel caso in cui esista una documentazione che sostenga esplicitamente il contrario [6]. Dopo la metà degli anni Settanta, la decisione di “non rianimare” è stata legalizzata per la prima volta negli Stati Uniti. L’American Medical Association, raccomandò per la prima volta che la decisione di non intraprendere (withholding) o sospendere (withdrawing) la rianimazione dovesse essere formalmente documentata. Inoltre, in questo contesto, è stato sottolineato come la RCP fosse destinata solamente alla prevenzione di una morte inaspettata e improvvisa e non al trattamento di una malattia terminale, irreversibile [6]. Dopo questa fase iniziale, sono iniziate politiche esplicite relative al DNR order ed è stato promosso il diritto del paziente “alla propria autodeterminazione”. Fino al caso Cruzan (1990) neanche negli Stati Uniti vi fu chiarezza in riguardo al DNR order e alle DA. Tale caso riguarda una giovane donna, Nancy Cruzan, che dal 1983, per 7 anni, si trovò in stato vegetativo persistente, a seguito di un incidente d’auto; respirava spontaneamente senza bisogno di respiratore e veniva alimentata artificialmente attraverso un tube feeding. Le sue capacità cognitive erano irrimediabilmente compromesse. I genitori chiesero alla struttura sanitaria dove Nancy era ricoverata di sospendere l’alimentazione artificiale, sulla base delle presunte volontà della paziente, e ottennero così la sospensione delle cure solo dopo molte battaglie legali. Durante il caso Cruzan, i magistrati enfatizzarono l’importanza che tali DA fossero espresse dal cittadino in modo chiaro, verbale o scritto. Tali DA espresse prima di un eventuale stato di incapacità rappresenterebbero lo strumento per il cittadino stesso di far valere la propria volontà nel caso si ritrovasse non in grado di intendere e di volere, e quindi di partecipare attivamente a importanti decisioni riguardanti le proprie cure. Il caso Cruzan fu non solo un caso mediatico che causò un’intensa riflessione ed un acceso dibattito, ma anche l’evento che portò alla stipulazione del Patient Self-Determination Act (PSDA). Obiettivo del PSDA fu quello di ridurre il numero di casi in cui pazienti incapaci di esprimere la propria volontà si ritrovassero senza una DA. Tale atto rese le DA legalmente riconosciute in tutti i 50 Stati americani [7]. A distanza di quasi un ventennio, in Italia si ripropose un caso simile, quello della giovane Eluana Englaro. Anche in tale situazione, dopo varie battaglie legali e un acceso dibattito che divise l’opinione pubblica, nel 2009 le richieste della famiglia di sospendere l’alimentazione/idratazione alla propria figlia furono accolte e la giovane morì 17 anni dopo l’incidente stradale che la ridusse in stato vegetativo [8].

Oggi, negli Stati Uniti è pratica comune identificare il DNR order in forma di lettera, targhette, braccialetti o altri oggetti facilmente identificabili che richiamino a un documento firmato dal paziente stesso nel caso in cui la vittima venga trovata in stato d’incoscienza.

In Europa, varie politiche sono adottate dai diversi Paesi [9], sotto l’influenza di diverse culture, religioni e credenze. Ad esempio, in alcuni Paesi dell’Unione Europea, le DA e il DNR order hanno valore legale (UK) [10] e in alcuni è legalizzata anche l’eutanasia (Belgio, Norvegia e Olanda) [11-13].

L’Italia, così come la Spagna, la Francia e la Germania, si trova più indietro da un punto di vista legislativo e la mancanza di chiarezza sul valore legale del DNR order determina una certa variabilità nell’applicazione clinica. In Italia, in particolare, la mancanza di un vero e proprio DNR order formalmente e legalmente riconosciuto è stata anche oggetto di trattazione da parte della Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva (SIAARTI) che a tal proposito ha formulato le proprie linee guida [14]. Tali linee guida riconoscono che, qualora il paziente non fosse in grado di intendere e di volere, la decisione finale nel limitare i trattamenti rianimatori è lasciata al giudizio del singolo medico, soprattutto quando il medico rianimatore è chiamato a decidere sui limiti delle cure per pazienti in Pronto Soccorso o in altri reparti (Oncologia, ecc.). Queste linee guida sono state scritte al fine di delineare punti chiari da seguire e facili da mettere in pratica, considerando l’astensione o la sospensione dei trattamenti rianimatori nei seguenti casi: per impossibilità del trattamento proposto di ripristinare uno stato di almeno parziale indipendenza (es. astenersi dall’inizio della ventilazione meccanica in un paziente che non ha alcuna possibilità di svezzarsi dal ventilatore o che ha una patologia in stadio terminale); sospensione del trattamento per fallimento in seguito a un tentativo iniziale (es. deterioramento degli indici di perfusione nonostante supporto emodinamico massimale, farmacologico e non); in caso di rifiuto delle cure intensive espresso dal paziente quando ancora cosciente [14]. Simili raccomandazioni sono considerate dal gruppo di lavoro SIAARTI/IRC (Italian Resuscitation Council) nel documento pubblicato nel 2007, “Recommendations for organizing responses to In-Hospital emergencies”, nel quale si fa riferimento alla auspicabile presenza di punti comuni che regolino il DNR order [15]. Tuttavia non esiste ancora una documentazione su quali trattamenti sospendere (withdrawing) o non intraprendere (withholding). Nonostante un acceso dibattito in corso, come detto, una legge a riguardo non è ancora in vigore. Il substrato culturale italiano, e quindi la società che lo rispecchia, è caratterizzato da un forte paternalismo che trova le sue origini in valori religiosi talvolta mal interpretati e in tradizioni ereditate [16] che vedono spesso la mancata accettazione della morte come parte del ciclo della vita. La mancanza di consenso generale è evidente anche relativamente alla terminologia; alcuni autori infatti sostengono la negatività dell’espressione “DNR order” e ne suggeriscono la sostituzione con l’espressione “permettere la morte naturale” (Allow Natural Death – AND) [17].

In mancanza di chiare e comuni direttive da seguire, il medico si ritrova a procedere tentando di rispettare da un lato i principi di etica professionale evitando di intraprendere misure di supporto futili, e dall’altro considerando la volontà del paziente, magari cercando di farsene interprete, qualora non chiaramente espressa [14,18]. È comunque pratica comune in Italia assicurare uno stato di sedazione e analgesia ai pazienti in stato terminale per garantire il controllo del dolore nei momenti che precedono l’arresto cardiocircolatorio. Ciò è supportato, oltre che dal buon senso comune e dal supporto della comunità scientifica italiana, anche dalla dottrina della Chiesa Cattolica espressa chiaramente nell’enciclica “Evangelium Vitae” scritta da Papa Giovanni Paolo II e promulgata il 25 marzo 1995, in cui si afferma: «L’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all’“accanimento terapeutico”. Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente». Quindi, «anche se la morte è considerata imminente, le cure che d’ordinario sono dovute a una persona ammalata non possono essere legittimamente interrotte. L’uso di analgesici per alleviare le sofferenze del moribondo, anche con il rischio di abbreviare i suoi giorni, può essere moralmente conforme alla dignità umana, se la morte non è voluta né come fine né come mezzo, ma è soltanto prevista e tollerata come inevitabile. Le cure palliative costituiscono una forma privilegiata della carità disinteressata. A questo titolo devono essere incoraggiate. [...] L’eutanasia si situa, dunque, al livello delle intenzioni e dei metodi usati». Da essa va distinta la decisione di rinunciare al cosiddetto “accanimento terapeutico”, ossia a certi interventi medici non più adeguati alla reale situazione del malato, perché ormai sproporzionati ai risultati che si potrebbero sperare o anche perché troppo gravosi per lui e per la sua famiglia. In queste situazioni, quando la morte si preannuncia imminente e inevitabile, si può in coscienza «rinunciare a trattamenti che procurerebbero soltanto un prolungamento precario e penoso della vita, senza tuttavia interrompere le cure normali dovute all’ammalato in simili casi» [19].

La mancanza di direttive chiare e comuni, con valore legale, sul territorio nazionale italiano causa, inoltre, il problema della cattiva o assente comunicazione dello staff medico con le famiglie delle vittime [14]. Uno studio pubblicato recentemente – 2010 – ha valutato la soddisfazione dei pazienti e dei loro familiari riguardo la qualità delle cure di fine vita. Il sondaggio è stato condotto su un campione composto da 2000 pazienti deceduti per patologia oncologica. La maggior parte dei pazienti oncologici riferì la propria insoddisfazione e un inadeguato controllo del dolore. Solamente un terzo dei pazienti affermò di aver ricevuto una discreta informazione sulle cure e i trattamenti di fine vita erogati. Quasi un terzo dei familiari hanno espresso una chiara insoddisfazione, lamentando la scarsa qualità delle cure di fine vita erogate negli ospedali italiani (in particolare nelle aree del Centro-Sud) [20].

Progetti per il futuro

La comunicazione rappresenta un aspetto molto importante nell’ambito medico in generale, e in particolare nel delicato settore della rianimazione dove la lotta tra la vita e la morte è costante. Occorre incoraggiare la discussione di tale argomento tra medici, infermieri e pazienti, non solo quando questi ultimi sono in condizioni critiche. La conversazione deve essere mirata a conoscere valori e idee del paziente che potrebbero essere utili per prendere decisioni critiche nel caso in cui egli fosse incapace di comunicare la propria volontà. Poiché i valori individuali sono caratteristiche rilevanti di una DA, rendere questi valori chiari ed espliciti può essere di grande aiuto alla famiglia della vittima e ai medici coinvolti nelle cure al fine di agire nel miglior interesse del paziente. È, inoltre, importante considerare come infermieri e medici percepiscono le cure di fine vita, e quali conoscenze hanno in merito, in modo da poter migliorare le loro capacità comunicative [21]. Sfortunatamente, allo stato attuale, il medico discute tardivamente delle DA solo quando la prognosi del paziente è scadente. Spesso i pazienti oncologici, nonostante una scarsa aspettativa di sopravvivenza, non predispongono DA. Questo fenomeno è una spia di un livello di comunicazione medico-paziente ancora sub-ottimale [22].

In Italia non esiste ancora un percorso educativo e formativo sulle cure di fine vita e, in tale ambito, la carenza di standardizzazione della pratica clinica ha un ruolo fondamentale nel rallentare la progressione culturale riguardo la tematica delle DA. Il problema non è limitato solamente alla sfera medica e più in generale dei lavoratori del Sistema Sanitario, manca infatti nell’opinione pubblica italiana una chiara conoscenza del problema, spesso condizionato anche dalla deformazione che viene impartita dai media allo scopo di suscitare ascolti. A causa della complessità e delicatezza dell’argomento non è sicuramente facile raggiungere un consenso riguardo all’attuazione del DNR order in Italia, ma ciò che è sicuramente necessario è considerare con maggiore attenzione il problema.

Per far ciò occorre:

  • implementare la comunicazione. Implementare la comunicazione tra paziente, famiglie e personale medico-infermieristico per chiarire le volontà del paziente mentalmente competente. È necessaria una maggiore formazione del medico migliorando la frequenza, la qualità e la tempistica di tali discussioni durante il corso di formazione di studenti di medicina e laurea infermieristica;
  • raggiungere un consenso legale. Ottenere una legge che garantisca una regolamentazione sul territorio nazionale non è certamente facile considerando la diversità di culti, valori, principi e credenze religiose tra i singoli individui, ma è sicuramente auspicabile;
  • migliorare la fiducia tra paziente, medico e Sistema Sanitario. I medici dovrebbero “educare” i pazienti con malattia terminale a conoscere ed esprimere i loro principi e la loro volontà in relazione ai trattamenti rianimatori; a tal fine bisogna anche garantire ai pazienti un supporto psicosociale per facilitare la discussione stessa;
  • continuare la formazione e implementare il professionalismo medico. I valori etici nella pratica clinica dovrebbero essere oggetto di discussione e formazione sin dalle prime fasi degli studi di medicina. L’educazione, l’insegnamento e l’etica sono parte integrante del professionalismo medico che comprende vari concetti quali: un comportamento corretto, integrità, onestà, collaborazione, responsabilità, servizio e cura verso gli altri, rispetto del codice professionale, giustizia, compassione e altruismo, e anche il rispetto per gli altri e l’autodisciplina [23-25].

In Italia è sicuramente necessaria una riflessione professionale in merito alle cure di fine vita. Nonostante l’ardente desiderio di sostenere la vita, i medici dovrebbero astenersi dall’agire quando un intervento è considerato futile ed evitare l’accanimento terapeutico. In questo caso, non si dovrebbe pensare che non si stia facendo nulla, ma piuttosto che qualcosa d’importante si è fatto: rispettare l’autonomia del paziente e permettergli di morire con dignità. È dunque auspicabile che le nuove generazioni s’impegnino non solo ad aumentare la sopravvivenza ma anche a migliorare la qualità della vita durante questi giorni. Il procrastinare l’ineluttabile nonostante la certezza del fallimento offende la dignità del paziente. In una delle sue celebri frasi, la Professoressa Rita Levi Montalcini, recentemente scomparsa, diceva: «Meglio aggiungere vita ai giorni che giorni alla vita». Tutto ciò rappresenta una vera sfida culturale e di civiltà per i pazienti, le loro famiglie, i medici, gli infermieri e l’intera comunità.

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