PM&AL 2013;7(1)23-29.html

Il rischio biologico nei luoghi di lavoro: aspetti e normativa

Carmela Romana Natalina Corrao 1

1 Professore Aggregato di Medicina del Lavoro, Dipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive, “Sapienza” Università di Roma

Abstract

Biological risk at workplaces requires a complex approach in relation to risk assessment and risk management, due to: variety of biological agents, working environments and working techniques; lack of limit values; workers with defective immune systems; worker’s perception. The Italian legislation is in line with European directives and covers both the field of prevention in the workplace and the medico-legal field (recognition and reporting of occupational diseases). While at workplace the employer is responsible of assessment and management of biological risk and the occupational physician of health surveillance, in notifiable occupational diseases every doctor is involved. Occupational diseases by biological agents are frequently caused by accidents, in which every doctor is equally involved. Also, the lesions induced by occupational diseases and some accidents are considered by our legislation offenses prosecutable ex officio and every doctor is obliged to report them.

Keywords: Biological risk; Occupational diseases by biological agents; European legislation; Italian legislation

Biological risk at workplaces: aspects and legislation

Pratica Medica & Aspetti Legali 2013; 7(1): 23-29

Corresponding author

Prof.ssa Carmela Romana Natalina Corrao

carmela.corrao@uniroma1.it

Disclosure

L'autrice dichiara di non avere conflitti di interesse di natura finanziaria in merito ai temi trattati nel presente articolo

Introduzione

Il rischio biologico si pone all’attenzione della Medicina del Lavoro per la crescente numerosità delle attività lavorative in cui è individuabile nonché per le problematiche che riveste in termini di risk assessment e di risk management, specialmente nel caso di specie patogene nuove, di lavoratori immunodepressi, di attività lavorative in espansione, come quelle degli aeroporti potenzialmente coinvolti anche nel rischio bioterroristico, o legate ad usi recenti, come la realizzazione di tatuaggi e piercing [1].

Se è vero che gli agenti biologici sono ubiquitari, nei luoghi di lavoro il rischio appare spesso particolarmente serio, sia perché il loro impiego può essere deliberato, sia perché il rischio di esposizione è associabile alla possibilità di punture e di tagli oltre che alla presenza di polvere e di bio­aerosol, prodotti in svariate attività lavorative. A motivo di ciò il rischio biologico è configurabile come un rischio trasversale che coinvolge lavoratori dell’agricoltura, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi, interessando settori lavorativi svariati (sanitario, veterinario agricolo-forestale, zootecnico, biotecnologico, trattamento e smaltimento rifiuti, trattamento acque reflue, ecc.).

È stimato che nel mondo muoiono ogni anno 320.000 lavoratori, di cui 5.000 in Europa, per malattie infettivologiche [2]. I lavoratori della sanità sono ritenuti a maggiore rischio, a motivo dell’uso di aghi e di strumenti taglienti e di possibili contaminazioni mucoso-cutanee, responsabili del 40% di tutti gli infortuni a carico del personale ospedaliero [3]. In Italia si registra negli ultimi anni una riduzione degli infortuni occorsi nel comparto dei servizi ospedalieri (-14,1% degli infortuni denunciati nel quinquennio 2004-2008), con maggiore coinvolgimento degli infermieri (50%), cui fanno seguito portantini, assistenti e operatori sanitari ( 30%) e medici (5%) [4].

Le patologie da agenti biologici comprendono infezioni, anche acute, cui si aggiunge la possibilità di allergie nonché di cancro nel caso di esposizione ai seguenti undici agenti biologici inclusi dall’International Agency for Research on Cancer (IARC) nel gruppo 1 (cancerogeni per l’uomo) [5]: Clonorchis sinensis (infezione), virus di Epstein-Barr, Helicobacter pylori, virus dell’ epatite B (infezione cronica), virus dell’ epatite C (infezione cronica), virus dell’immunodeficienza umana di tipo 1 (infezione), tipi di papillomavirus umano 16, 18, 31, 33, 35, 39, 45, 51, 52, 56, 58, 59, virus linfotropico umano a cellule T di tipo 1, herpes virus associato al Sarcoma di Kaposi, Opisthorchis viverrini (infezione), Schistosoma haematobium (infezione).

L’European Agency for Safety and Health at Work ha recentemente individuato i seguenti dodici rischi biologici di tipo emergente, intendendo per “rischio emergente” qualunque rischio lavorativo che sia “nuovo” e “in aumento”: «rischi occupazionali correlati alle epidemie globali, difficoltà di valutazione dei rischi biologici, esposizione dei lavoratori a microrganismi farmacoresistenti, mancanza di informazioni sui rischi biologici, scarsa manutenzione dei sistemi di condizionamento dell’aria e idrico, formazione non adeguata del personale delle autorità locali, pericoli biologici negli impianti di trattamento dei rifiuti, esposizione combinata a bioaerosol e sostanze chimiche, endotossine, muffe nei luoghi di lavoro chiusi» [2].

La normativa prevenzionistica

La normativa nazionale relativa alla prevenzione del rischio biologico nei luoghi di lavoro nasce fondamentalmente dalla Direttiva europea 2000/54/CE, preceduta dalle direttive 90/679/CEE e 93/88/CEE, recepite progressivamente nel nostro ordinamento prima con il D. Lgvo 626/94 e più recentemente con il D. Lgvo 81/2008 [6,7]. La particolare attenzione dell’Europa si oggettiva altresì nella recente direttiva del 10/5/2010 inerente la “Prevenzione delle ferite da taglio o da punta nel settore ospedaliero e sanitario”, che dovrà essere recepita dagli Stati membri entro l’11/5/2013.

L’attenzione alla tutela degli operatori sanitari trova conferma anche in paesi extraeuropei, come gli USA. Nel 1999 in California venne emanata una legge sull’uso obbligatorio di aghi dotati di meccanismi di sicurezza (Needlestick Prevention Devices, NPDs) e una legge federale del 2000 impone ai datori di lavoro del settore sanitario la sostituzione di aghi convenzionali con aghi muniti di sistemi di sicurezza [8]. In Italia nel merito si menzionano il Decreto del Ministero della Sanità del 28 settembre 1990 che vieta tra l’altro di reincappucciare gli aghi utilizzati e il disegno di legge n.1130 del 20/10/2008 “Norme per la prevenzione e la protezione degli operatori sanitari da rischi di contagio derivanti da punture accidentali”.

I riferimenti legislativi attualmente vigenti in tema di prevenzione e protezione del rischio biologico nei luoghi di lavoro sono riconducibili al Titolo X (“Esposizione ad agenti biologici”) del D. Lgvo 81/2008.

L’art. 267 fornisce le seguenti importanti precisazioni definitorie e di fondamentale rilievo è la classificazione degli agenti biologici (Tabella I):

  1. agente biologico: qualsiasi microrganismo anche se geneticamente modificato, coltura cellulare ed endoparassita umano che potrebbe provocare infezioni, allergie o intossicazioni;
  2. microrganismo: qualsiasi entità microbiologica, cellulare o meno, in grado di riprodursi o trasferire materiale genetico;
  3. coltura cellulare: il risultato della crescita in vitro di cellule derivate da organismi pluricellulari.

Gruppi

Definizione

1

Un agente che presenta poche probabilità di causare malattie in soggetti umani

2

Un agente che può causare malattie in soggetti umani e costituire un rischio per i lavoratori; è poco probabile che si propaghi nella comunità; sono di norma disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche

3

Un agente che può causare malattie gravi in soggetti umani e costituisce un serio rischio per i lavoratori; l’agente biologico può propagarsi nella comunità, ma di norma sono disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche

4

Un agente biologico che può provocare malattie gravi in soggetti umani, costituisce un serio rischio per i lavoratori e può presentare un elevato rischio di propagazione nella comunità; non sono disponibili, di norma, efficaci misure profilattiche o terapeutiche

Tabella I. Classificazione degli agenti biologici (art. 268 D. Lgvo 81/2008)

La norma produce altresì nell’Allegato XLVI un elenco degli agenti biologici dei gruppi 2, 3 e 4, corredato di indicazioni su possibili reazioni allergiche o tossiche, sugli agenti per i quali è disponibile un vaccino efficace e su quelli per i quali è opportuno conservare per almeno dieci anni l’elenco dei lavoratori addetti ad attività con rischio di esposizione. Nessuna tipologia di batteri, parassiti e funghi è inclusa nel gruppo 4, che include solo undici tipologie di virus ed esattamente:

  • LCM-Lassa Virus complex (Arenavirus del Vecchio Mondo): virus Lassa;
  • Virus complex Tacaribe (Arenavirus del Nuovo Mondo): virus Guanarito, virus Junin, vVirus Sabia, virus Machupo;
  • Nairovirus: virus della febbre emorragica di Crimea/Congo;
  • Filoviridae: virus Ebola, virus di Marburg;
  • Variola (mayor & minor) virus;
  • Whitepox virus (Variola virus);
  • Virus non classificati: Morbillivirus equino.

Per i virus Variola (mayor & minor) e Whitepox (Variola virus) è precisata inoltre la disponibilità di vaccini efficaci.

Adempimenti specifici (autorizzazione e comunicazione) da ottemperare antecedentemente l’inizio dell’attività lavorativa sono previsti a carico del datore di lavoro.

L’autorizzazione, di durata quinquiennale e rinnovabile, va chiesta al Ministero della Salute (che la rilascia sentito l’Istituto Superiore di Sanità) nel solo caso in cui il datore di lavoro intenda utilizzare agenti del gruppo 4 e allo stesso Ministero va successivamente prodotta, ad eccezione dei laboratori di diagnostica, specifica informazione in caso di utilizzo o di cessato utilizzo di ulteriore agente di gruppo 4 (art. 270, commi 1,3,4,5). Il Ministero della Salute dà comunicazione all’organo di vigilanza competente per territorio delle autorizzazioni concesse e delle eventuali variazioni e istituisce e aggiorna specifico elenco degli agenti biologici di gruppo 4 dei quali è stato comunicato l’impiego (art. 270, comma 6).

La comunicazione va inoltrata all’organo di vigilanza competente, almeno trenta giorni prima dell’inizio dell’attività, dal datore di lavoro che intende impiegare agenti biologici dei gruppi 2 e 3 o che é stato autorizzato a svolgere attività con impiego di agente biologico del gruppo 4 e nei casi di variazioni lavorative o uso di nuovi agenti (art. 269, commi 1, 2, 3). Obbligo di comunicazione è previsto altresì nel caso di laboratori di diagnostica anche in caso di agenti di gruppo 4 (art. 269, comma 6).

Centralità nell’ambito degli obblighi a carico del datore di lavoro riveste la valutazione dei rischi, da rieffettuare in caso di modifiche e comunque dopo tre anni, che include le informazioni inerenti le caratteristiche dell’agente biologico e le modalità lavorative specifiche (art. 271, commi 1,3). L’evidenza di rischi per la salute innesca l’obbligo per il datore di lavoro di attuazione di misure (tecniche, organizzative procedurali e igieniche) nonché l’informazione e formazione dei lavoratori.

Tra le principali misure tecniche, organizzative, procedurali si ricordano: evitare possibilmente l’utilizzo di agenti biologici nocivi, limitare al minimo gli esposti, progettare adeguatamente i processi lavorativi, adottare misure collettive di protezione e, se non efficaci, misure di protezione individuali, usare segnaletica di avvertimento, elaborare procedure idonee per prelevare, manipolare e trattare campioni di origine umana e animale e per la manipolazione e il trasporto in condizioni di sicurezza di agenti biologici all’interno e all’esterno del luogo di lavoro (art. 272, commi 1, 2).

Le misure igieniche includono essenzialmente: la messa a disposizione dei lavoratori di servizi sanitari dotati di docce con acqua calda e fredda e, se necessario, di lavaggi oculari e antisettici per la pelle, la dotazione ai lavoratori di indumenti protettivi, la conservazione degli indumenti di lavoro e protettivi contaminati da agenti biologici separatamente rispetto agli altri indumenti e la loro disinfezione o distruzione, il divieto di conservare e assumere cibi e bevande nonché di fumare e applicare cosmetici e usare pipette a bocca nelle aree lavorative con rischio di esposizione (art. 273, commi 1, 2).

L’informazione e formazione dei lavoratori vanno erogate prima dell’inizio dell’attività lavorativa e successivamente con frequenza almeno quinquennale e in caso di cambiamenti lavorativi e devono includere: i rischi per la salute attribuibili agli agenti biologici utilizzati, le precauzioni per evitare l’esposizione, le misure igieniche, funzione e corretto impiego degli indumenti di lavoro e protettivi nonché dei dispositivi di protezione individuale, le procedure nel caso di manipolazione di agenti biologici del gruppo 4, le modalità di prevenzione degli infortuni e le misure per ridurne al minimo le relative conseguenze (art. 278, commi 1, 2, 3). Richiesta è altresì l’esposizione nei luoghi di lavoro di cartelli ben visibili contenenti le procedure da attuare in caso di infortunio o incidente (art. 278, comma 4).

Dei lavoratori che svolgono attività con impiego di agenti dei gruppi 3 o 4 è prevista l’iscrizione sul registro degli esposti e degli eventi accidentali, di cui copia va consegnata all’ISPESL (oggi INAIL, cui in virtù del D.L. 78/2010 è passata l’attribuzione delle funzioni già svolte dall’ISPESL, NdA) e all’organo di vigilanza competente, ai quali vanno comunicate ogni tre anni, o quando ne venga da essi fatta richiesta, eventuali variazioni nonché la cessazione del rapporto di lavoro con consegna all’INAIL delle relative cartelle sanitarie e di rischio a mezzo del medico competente (art. 280, commi 1, 3 a), b)). In caso di cessazione dell’attività dell’azienda è fatto obbligo al datore di lavoro consegnare copia del registro, oltre che all’INAIL (cui vanno consegnate le relative cartelle sanitarie e di rischio con le modalità suindicate) e all’organo di vigilanza competente, anche all’Istituto Superiore di Sanità (art. 280, comma 3 c)). All’INAIL andrà invece richiesta ad opera del datore di lavoro copia delle annotazioni individuali contenute nel registro e della cartella sanitaria e di rischio in caso di assunzione di lavoratori che hanno già svolto attività con esposizione allo stesso agente (art. 280, comma 3 d)).

Presso l’INAIL è tenuto il registro dei casi di malattia e di decesso, costruito sulla base dei dati provenienti dalla documentazione clinica che medici e strutture sanitarie pubbliche e private che refertano malattie o decessi da esposizione occupazionale ad agenti biologici sono obbligati a produrre all’ Istituto (art. 281, commi 1, 2).

Uno degli aspetti più delicati nell’ambito della sorveglianza sanitaria dei lavoratori esposti ad agenti biologici, che va attuata nel caso in cui valutazione del rischio ne rilevi la necessità, è quello delle vaccinazioni, previste tra le “misure protettive particolari” che il datore di lavoro adotta, su parere del medico competente, nel caso di lavoratori con motivi sanitari individuali che non risultano immunizzati nei confronti dell’agente biologico specifico (art. 279, commi 1, 2 a)). Come è noto, le vaccinazioni praticabili nei luoghi di lavoro si distinguono in obbligatorie (Tabella II) e raccomandate e la dottrina si è occupata della problematica del consenso del lavoratore, tutt’oggi oggetto di posizioni controverse.

Vaccinazioni obbligatorie

Nome

Categorie lavorative

Richiami normativi

Antitetanica

Lavoratori agricoli, pastori, allevatori di bestiame, stallieri, fantini, conciatori, sorveglianti e addetti ai lavori di sistemazione e preparazione delle piste negli ippodromi, spazzini, cantonieri, stradini, sterratori, minatori, fornaciai, operai e manovali addetti all’edilizia, operai e manovali delle ferrovie, asfaltisti, straccivendoli, operai addetti alla manipolazione delle immondizie, operai addetti alla fabbricazione della carta e dei cartoni, lavoratori del legno, metallurgici e metalmeccanici, sportivi all’atto della affiliazione alle federazioni del CONI

Legge n. 292 del 5/3/1963

DPR n. 464 del 7/11/2001

Antitetanica/ antidifterica, antitifoidea, antimeningococcica, antimorbillo/parotite/rosolia

Militari all’atto dell’incorporamento

Decreto del Ministro della Difesa del 19/2/1997

Antitubercolare

Personale sanitario,studenti in medicina,allievi infermieri e chiunque, a qualunque titolo, con test tubercolinico negativo, operi in ambienti sanitari ad alto rischio di esposizione a ceppi multifarmacoresistenti, oppure operi in ambienti ad alto rischio e non possa essere sottoposto a terapia preventiva perché presenta controindicazioni cliniche all’uso di farmaci specifici

DPR n. 465 del 7/11/2001

Tabella II. Vaccinazioni obbligatorie (Fonte: Ministero della salute “Piano nazionale vaccini 2005-2007” e “Piano nazionale prevenzione vaccinale 2012-2014”)

Allo scopo si ritiene utile citare l’orientamento della Cassazione esplicitato in due sentenze (Cass. sez. IV pen., 5/2/1991, n. 1170 e Cass. sez. IV pen. 13/7/90, n. 10272), che recitano rispettivamente «Le misure di sicurezza vanno attuate dal datore di lavoro anche contro la volontà del lavoratore» e «In caso di mancata osservanza delle misure di sicurezza da parte di uno o più lavoratori, il caporeparto non può limitarsi a rivolgere benevoli richiami, ma deve informare senza indugio il datore di lavoro o il dirigente legittimato a infliggere richiami formali e sanzioni a carico dei dipendenti riottosi», e richiamare l’art. 32 della Costituzione dove viene esplicitato che «la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività […] Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge». Un mancato consenso da parte del lavoratore andrebbe quindi indiscutibilmente a vanificare se non altro il già citato art. 32, che individua la salute come bene che va ben oltre l’individuo rivestendo interesse per la collettività, nonché l’art. 41 della Costituzione («L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana») e l’art. 2087 cc («L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro), nonché violerebbero “l’indisponibilità” del diritto alla salute tutelato in maniera particolare dall’apparato garantistico che il Legislatore ha previsto in tema di sicurezza e tutela della salute nei luoghi di lavoro stabilendo la perseguibilità d’ufficio dei relativi reati. Per contro viene invocato da altri il comma 2 dell’art. 279 del D. Lgvo 81/2008 che prevederebbe l’obbligo per il datore di lavoro di semplice “messa a disposizione” di vaccini efficaci per quei lavoratori che non sono immuni all’agente biologico cui sono esposti, che sarebbe da intendere come azione la cui attuazione è subordinata all’ottenimento di un consenso. È verosimile che la disomogeneità di orientamenti sia conciliabile con la differenziazione che si impone tra vaccini obbligatori e raccomandati, il cui consenso sarebbe tutt’al più riconducibile solo ai secondi, anche se in mancanza di esso si apre la problematica per il medico competente di valutare la possibilità di strategie preventive/protettive alternative e altrettanto efficaci.

La normativa assicurativa

Per quanto riguarda le malattie professionali da causa infettivologica, utile appare un richiamo preliminare ai dati INAIL relativi alle denunce degli anni 1996-2000, che evidenziano tra le tre malattie maggiormente denunciate le epatiti (34%), la scabbia (26%) e la malaria (11%), seguite da TBC, brucellosi, leptospirosi, amebiasi, echinoccoccosi, rickettsiosi e altre (rappresentate tra l’1% e il 7%) [9].

L’introduzione dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali individua nel DPR del 30/6/1965 n. 1124 il principale riferimento normativo [10], in virtù del quale è previsto il riconoscimento di malattie professionali contenute in due tabelle (per l’industria e per l’agricoltura), purché le stesse malattie si manifestino nell’espletamento di attività lavorative indicate nelle tabelle e entro i tempi massimi dalla cessazione dell’attività lavorativa anch’essi indicati (presunzione di origine). Tale sistema, detto “tabellare” e caratterizzato dal carattere della “tassatività” (elenco tassativo di malattie derivanti da lavorazioni specifiche e predeterminazione del periodo massimo di indennizzabilità), è stato sostituito dal cosiddetto “sistema misto” in virtù delle sentenze della Corte Costituzionale n. 179 del 10/2/1988 e n.206 dell’11/2/1988. Il nuovo sistema, a tutt’oggi vigente, mantiene la validità delle tabelle ma prevede la possibilità di riconoscere malattie non contenute in esse o che si manifestano oltre il termine previsto purché comprovate (onere della prova a carico del lavoratore). Le tabelle hanno subito revisioni e aggiornamenti nel 1975, nel 1994 e nel 2008 [11].

Contestualmente all’evoluzione della normativa assicurativa in tema di riconoscimento delle malattie professionali, si sviluppa in Italia dagli anni ’70 quella relativa alla lista delle malattie professionali per le quali c’è l’obbligo di denuncia. La prima lista, introdotta con il DM 18/4/1973, ricalca integralmente l’elenco contenuto nella raccomandazione CEE del 23/7/1962 e successivamente è stata aggiornata con il DM 27/4/2004, con il DM 14/1/2008 e recentemente con il DM 11/12/2009 [12]. In applicazione dell’art. 10, comma 4, del D. Lgvo 23/2/2000 n. 38 [13], l’elenco delle malattie per le quali è obbligatoria la denuncia è articolato in tre liste:

  • Lista I: malattie la cui origine lavorativa è di elevata probabilità;
  • Lista II: malattie la cui origine professionale è di limitata probabilità;
  • Lista III: malattie la cui origine professionale è possibile.

Ciascuna malattia è identificata da uno specifico codice e le malattie da agenti biologici sono contenute solo nella Lista I ed esattamente:

  • nel gruppo 3 “Malattie da agenti biologici esclusi i tumori in quanto riportati nel gruppo 6”, dove sono incluse le malattie professionali indotte da 17 batteri, 9 virus, 2 miceti, 10 parassiti, 1 artropodo;
  • nel gruppo 6 “Tumori professionali”, che include i tumori indotti da 3 virus.

Si ricordano gli adempimenti previsti per il medico che riconosca l’esistenza, anche sospetta, di una malattia professionale (Tabella III), in mancanza dei quali è sanzionabile. Gli obblighi a carico dei medici sono riferibili anche alle malattie con origine lavorativa di limitata probabilità o possibile, sia per individuare l’origine professionale di malattie non tabellate, sia per garantire quanto più possibile la tutela della salute e la sicurezza dei lavoratori. In quest’ottica si inserisce il “registro nazionale delle malattie professionali” istituito presso la banca dati dell’INAIL, previsto dall’art.10, comma 5, del D. Lgvo 38/2000, nato nel 2006 e divenuto operativo nel 2007.

Tipo di adempimento

Destinatario

Riferimenti legislativi

Referto

Autorità giudiziaria

Art. 365 cp e 334 cpp

Denuncia

ASL

Art. 139 DPR 1124/1965

Legge 833/2000

Denuncia

Direzione Provinciale del Lavoro

Art. 139 DPR 1124/1965

Denuncia

INAIL

Art. 10 D. Lgvo 38/2000

Compilazione primo certificato di malattia professionale

Lavoratore

Art. 53 DPR 1124/1965

Tabella III. Adempimenti cui è tenuto il sanitario in caso di accertata/sospetta malattia professionale

Adempimenti sono previsti per il sanitario anche in caso di infortuni sul lavoro, definiti dall’art. 2 del DPR 1124/1965 come eventi «avvenuti per causa violenta in occasione di lavoro, da cui sia derivata la morte o un’inabilità permanente al lavoro, assoluta o parziale, ovvero un’inabilità temporanea assoluta che importi l’astensione dal lavoro per più di tre giorni». Tali adempimenti comprendono essenzialmente il referto da inoltrare all’Autorità giudiziaria e certificazioni mediche da consegnare al lavoratore. L’obbligo di referto sussiste per reati perseguibili d’ufficio che, nella fattispecie degli infortuni sul lavoro, sono responsabili della morte dell’infortunato o di lesioni gravi o gravissime (art. 583 cp), mentre i certificati sono di tre tipi: primo certificato, certificato continuativo (in caso del protrarsi dell’inabilità temporanea assoluta), certificato definitivo (attestante la possibilità del lavoratore di riprendere le proprie mansioni).

Un cenno merita il cosiddetto “infortunio-malattia”, riconducibile ad agenti biologici i cui effetti morbosi sulla salute del lavoratore si instaurano tanto velocemente da soddisfare il carattere di “causa violenta” proprio degli infortuni. Già l’art. 2 del DPR 1124/65 recitava «Agli effetti del presente decreto, è considerata infortunio sul lavoro l’infezione carbonchiosa» e ancora «Non è invece compreso tra i casi di infortunio sul lavoro l’evento dannoso derivante da infezione malarica», riconosciuta poi oggetto di tutela dalla Sentenza della Corte Costituzionale n. 226/1987.

Considerazioni conclusive

Il rischio biologico nei luoghi di lavoro, sulla base di quanto brevemente discusso, presuppone un approccio articolato in tema di valutazione e di gestione. Il risk assessment risente soprattutto della mancanza di valori limite di riferimento e della variabilità dei contesti lavorativi e delle attività lavorative in cui il rischio è configurabile. Il risk management, tra le variabili da considerare, deve necessariamente valutare la presenza di lavoratori con sistema immunitario depresso, che implicano valutazioni sanitarie specifiche anche in termini di idoneità lavorativa.

In ambito assicurativo evidente appare la spiccata evoluzione del sistema di riconoscimento delle malattie professionali specifiche e del sistema previsto per la loro denunciabilità sulla base delle patologie oggetto di continuo aggiornamento nelle relative tre liste. In questo secondo ambito, i progressi delle conoscenze scientifiche presuppongono un approfondimento continuo, che necessariamente coinvolge qualunque sanitario di qualunque disciplina, in virtù degli adempimenti specifici ai quali è obbligato in caso di accertata o sospetta patologia di origine professionale, in assenza dei quali è sanzionabile.

Un cenno meritano alcuni aspetti che contribuiscono a rendere ardua la gestione anche sanitaria del rischio biologico. Nello specifico sia sufficiente ricordare:

  • lo sviluppo di specie resistenti;
  • le problematiche di alcuni tipi di lavoratori, quali quelli impegnati in missioni all’estero per attività civili, militari o religiose, i cosiddetti working travellers, che sono esposti anche al rischio biologico riconducibile alle condizioni igienico-sanitarie dei Paesi ai quali sono destinati;
  • la stessa normativa vigente, allineata ai dettami europei, nella sua espressione forse più rilevante, quella della classificazione degli agenti in funzione della loro pericolosità, è intesa con riferimento al lavoratore standard e non considera pertanto i soggetti ipersuscettibili, né tra i microrganismi sono inclusi quelli geneticamente modificati;
  • tra gli adempimenti a carico del datore di lavoro, la formazione dei lavoratori spesso contrasta con una loro distorsione valutativa del rischio, in termini di iperstima o sottostima sulla base di una percezione del tutto soggettiva, distorsione che rende purtroppo il rischio sostenuto da comportamenti spesso in totale contrasto con le conoscenze apprese [5,14].

Bibliografia

1. INAIL. Il rischio biologico nei luoghi di lavoro. Schede tecnico-informative. Milano: INAIL, 2011

2. European Agency for Safety and Health at Work. European Risk Observatory Report: Expert forecast on Emerging Biological Risks related to Occupational Safety and Health. Disponibile su: http://www.respectautravail.be/en/publications/reports/7606488/view

3. Alfano A, Ciresola D. Aghi e taglienti in Sanità. Il rischio biologico. Panorama Della Sanità 2010; 14: 34-7

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6. Direttiva 2000/54/CE del 18 settembre 2000 relativa alla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da un’esposizione ad agenti biologici durante il lavoro (settima direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE). Gazzetta Ufficiale n. L 262/21 del 17/10/2000

7. Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81. Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. Gazzetta Ufficiale n. 101 del 30 aprile 2008

8. Gruppo di Studio Phase (a cura di). Prevenzione dell’esposizione occupazionale al rischio biologico derivante da lesione percutanea accidentale (puntura, ferita, taglio) nel settore ospedaliero e sanitario. Compendio tecnico e raccomandazioni per il recepimento e l’attuazione in Italia della Direttiva 2010/32/UE del Consiglio dell’Unione Europea. Position paper del gruppo PHASE, 2012

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10. DPR n. 1124 del 30 giugno 1965. Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. Gazzetta Ufficiale n. 257 del 13 ottobre 1965, Suppl. ord.

11. DM 9 aprile 2008. Nuove tabelle delle malattie professionali nell’industria e nell’agricoltura. Gazzetta Ufficiale n. 169 del 21 luglio 2008

12. DM 11 dicembre 2009. Aggiornamento dell’elenco delle malattie per le quali è obbligatoria la denuncia ai sensi e per gli effetti dell›articolo 139 del testo unico approvato, con decreto del Presidente della Repubblica 30giugno 1965, n. 1124 e successive modifiche e integrazioni. Gazzetta Ufficiale n. 74 del 1 aprile 2010

13. Decreto Legislativo n. 38 del 23 febbraio 2000. Disposizioni in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, a norma dell’articolo 55, comma 1, della legge 17 maggio 1999, n. 144. Gazzetta Ufficiale n. 50 del 1 marzo 2000

14. De Giusti M, Corrao CRN, Mannocci A, et al. Occupational biological risk knowledge and perception: results from a large survey in Rome, Italy. Ann Ist Super Sanità 2012; 48: 138-45

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