PM&AL 2014;8(2)75-81.html

La bi-direzionalità funzionale tra processo di consenso informato e mediazione sanitaria

Antonio Dodaro 1, Virginia Recchia 2

1 Giurista e mediatore sanitario, Lecce

2 Ricercatrice esperta in comunicazione e knowledge management in sanità, CNR-IFC Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto di Fisiologia Clinica, Lecce

Abstract

Informed consent in the hospital as in any other healthcare setting is – before anything else – a process of communication and relationship which must involve the patient in a decision directly affecting his/her health. In this article, we focus our attention on the bi-directionality existing among an informed consent process and the instrument of alternative dispute resolution constituted by mediation applied to healthcare conflicts. The link between the two legal institutions is bidirectional because informed consent is a fundamental premise of a good mediation and mediation – in turn – can be an important stimulus to continuously improve the process of informed consent.

This bi-directionality for both legal institutions is fueled by the element of "trust". While trust in informed consent is the result of a continuous dialogue and listening between the doctor, the staff and the patient, in mediation it represents the crucial element to be renovated.

Therefore, mediation in healthcare is an effective tool for managing conflicts to the extent that goes to latch on to a real and previous communicative relationship that actually materialized between the parties around the relationship of care. The emotional reality of the patient and his family – as well as that one regarding health professionals themselves – can emerge in an effective way during mediation, through the co-presence of the parties in a facilitated dialogue. This same reality can motivate health professionals to acquire a thorough and in-depth training on the values, techniques and tools necessary for the realization of a genuine process-based informed consent within an effective doctor-patient communication.

All this can and must be done – in an organization sensitive to these issues – according to a virtuous cycle that feeds on itself and creates a renewed wellness for physicians as well as for patients in their inseparable relationship of care.

Keywords: Informed consent; Physician-patient communication; Patient’s autonomy; Mediation in healthcare; Alternative dispute resolution

The bi-directionality among informed consent process and mediation applied to healthcare conflicts

Pratica Medica & Aspetti Legali 2014; 8(2): -81

http://dx.doi.org/10.7175/PMeAL.v8i2.920

Corresponding author

Antonio Dodaro

antonio.dodaro@hotmail.it

Disclosure

Gli Autori dichiarano di non avere conflitti di interesse di natura finanziaria in merito ai temi trattati nel presente articolo

Introduzione

Il consenso informato in ospedale come in un qualunque altro contesto sanitario è – prima che ogni altra cosa – un processo di comunicazione e di relazione che deve coinvolgere il paziente in una decisione che lo interessa direttamente [1,2]. Ciò discende dal fatto che in tale processo si dialoga su una malattia che può sconvolgere la salute di una persona e sulla relativa cura, per la quale la stessa persona dovrà subire dei trattamenti ulteriori volti ipoteticamente a farle ritrovare il benessere perduto. Il consenso informato quale semplice firma su di un modulo cartaceo standardizzato è tutto fuorché comunicazione e relazione interpersonale in materia di salute. A partire dall’analisi semantica del concetto di malattia declinato dalla lingua inglese nei due significati distinti e peculiari di “disease” e “illness” [3-5], cerchiamo di fornire nella presente analisi una chiave di lettura più nitida della comunicazione e della relazione da dover attivare nell’ambito di un frame complessivo di consenso informato. Comunicazione e relazione che coinvolge fortemente il medico e gli altri professionisti sanitari, e che nel contesto ospedaliero dovrebbe seguire sempre il paziente dall’ingresso alle dimissioni, aiutandolo ad accrescere la posizione di cittadino attivo nell’esercizio dei propri diritti. Attraverso la presente analisi, si vuole, inoltre, rimarcare il sottile filo conduttore che lega il consenso informato alla mediazione in sanità. Filo costituito dall’elemento “fiducia”, che in entrambi gli istituti legali è frutto dell’insostituibile ruolo assolto dal dialogo e dall’ascolto che mai possono mancare all’interno di una relazione di cura. Tale filo conduttore, oltre a poter rendere più efficace l’utilizzo dello strumento extra-processuale della mediazione, evidenzia come il reale interesse verso la mediazione stessa, dal lato del paziente danneggiato, esista solo nell’ipotesi in cui questi sia stato precedentemente coinvolto in una relazione umana confluente in decisioni condivise, attraverso la valutazione di rischi, benefici e alternative diagnostico-terapeutiche. La mediazione, inoltre, assolve indirettamente e a valle del consenso informato ad una ulteriore finalità educativa e formativa per gli operatori sanitari. Questi, infatti, dal forte coinvolgimento personale nell’evento avverso, possono trarre elementi di arricchimento che possono essere sfuggiti durante l’operatività ospedaliera [6]. Grazie alla co-presenza delle parti, durante la mediazione possono emergere motivi di riflessione interpersonale e di auto-critica tipici di un reale processo di consenso informato, che portano inevitabilmente a una crescita professionale sul piano comunicativo e a una maggiore sensibilità rispetto alle eventuali cause di errori umani [7].

I professionisti sanitari, infatti, oltre a dover vivere il conflitto nel momento in cui esso stesso insorge e cioè all’interno del reparto ospedaliero in cui lavorano, grazie all’ulteriore coinvolgimento nella procedura di mediazione, possono da questa stessa trarre importanti elementi di riflessione e introspezione. Ci si riferisce essenzialmente al confronto umano, con la drammaticità delle conseguenze anche emotive che le loro stesse azioni professionali possono aver generato nei riguardi del paziente vittima dell’evento avverso. Tale drammaticità può essere considerata come una spinta motivazionale importante al fine di conferire giusta concretezza all’attuazione di un reale consenso informato – e soprattutto “comunicato” – nell’ambito della propria quotidiana operatività nel contesto ospedaliero.

Dalla malattia al consenso informato in ospedale

Nell’attuale esperienza sanitaria, sia essa italiana che internazionale, l’attenzione sul rapporto medico-paziente e sull’alleanza terapeutica impone nuovi modi di concepire e realizzare il consenso informato, con particolare priorità per il contesto ospedaliero. Nell’ambito della relazione di cura, il paziente è ormai maturo per ricoprire un ruolo più attivo, partecipativo e informato nell’approccio con il curante, tanto nella fase di diagnosi che nella fase di terapia e in considerazione del suo pieno coinvolgimento a livello fisico ed emotivo [8-10].

Dal lato del clinico, se lo si considera professionista dell’ars medica e al contempo delle tecniche di comunicazione efficace che in tale ars medica sono implicate, si evidenzia il dovere e l’opportunità di abbandonare uno stantìo atteggiamento difensivistico in cui il concetto di malattia è distante, molto spesso, dalle istanze psicologiche più profonde e da quelle di consapevolezza della cura riferibili alla persona del paziente. L’aumento esponenziale dei processi penali e civili per responsabilità medica e per mancato consenso informato con i relativi incrementi dei premi assicurativi per responsabilità civile rappresentano, plasticamente, la dimostrazione palese di quanto esteso sia l’approccio clinico focalizzato sui soli aspetti organico-patologici della malattia del paziente.

In una tale visione limitata del modus operandi degli operatori sanitari nella nostra realtà italiana, l’integrità morale dell’uomo e con essa quella etica, deontologica e di diritto risultano, nei fatti, fortemente bistrattati e raramente tutelati. Visione parziale, questa, di una realtà sanitaria fatta di troppa invasività tecnologica e di consumismo incontrollabile, che mal si concilia con i reali bisogni di comunicazione e di relazione del paziente, soprattutto nella complessa realtà ospedaliera fatta di grandi numeri e di scompensi organizzativi imperanti.

L’attuale sanità guarda all’intervento professionale del medico e degli altri operatori sanitari in un modo alquanto sterile, con un approccio alla malattia che trascura due elementi essenziali:

  1. il diritto del paziente ad una ricerca del benessere psico-fisico violato dalla malattia, che dovrebbe essere tutelato da una sanità appropriata, fatta di un sapere scientifico e di un aggiornamento clinico sempre in continua evoluzione;
  2. il diritto del paziente a vedersi assistito e tutelato nella sua decisione diagnostico-terapeutica verso il benessere psico-fisico smarrito. Tutto ciò passa, o meglio dovrebbe passare, attraverso una condivisione interpersonale che viaggi sull’unico binario di una comunicazione aperta tra paziente e medico/equipe di cura, realizzata nell’ambito del frame etico e legale chiamato consenso informato. Ad esso ci si riferisce quando si vuole attribuire una dimensione più umana alla relazione di cura, quale unico riferimento fiduciario e interpersonale per poter creare una piena alleanza terapeutica.

Pertanto, parlare di malattia e di gestione operativa della stessa vuol dire, ancora oggi, abbattere le mistificazioni di facciata prive di umana comprensione, e puntare dritti a un piano comunicativo-relazionale che coinvolga e unisca tanto gli operatori sanitari quanto i pazienti, in un costante e costruttivo confronto negoziale e collaborativo.

Un’opportunità suggestiva e illuminante intorno al concetto di malattia quale chiave di volta per ristrutturare la relazione medico-paziente e il correlato consenso informato deve individuarsi in una duplice interpretazione semantica che il lemma anglofono di “malattia” fornisce nei distinti significati di “disease” e di “illness” [3-5]. Questa sottile distinzione ha il pregio di scrutare e al contempo evidenziare, nel suo stesso distinguo, due aspetti in sé complementari di un qualcosa di molto complesso e di convergente nella persona del malato quale parte indispensabile di una qualunque relazione terapeutica.

“Disease”, quindi, quale sconvolgimento fisiologico della persona del malato e quale stato patologico ad esso correlato, nel quale si esalta l’oggettiva percepibilità materiale di un disagio essenzialmente personale [5].

“Illness”, invece, quale stato interiore e quindi meno visibile, in cui il turbamento emotivo della stessa persona del malato passa attraverso il dialogo e l’ascolto con il medico che lo prende in carico e con l’intera equipe ospedaliera che lo coadiuva [5]. Tale ulteriore declinazione del significato di malattia pone le basi per una percezione e individuazione di bisogni profondi e legati ai sentimenti umani che non possono assolutamente essere trascurati all’interno di una relazione di cura degna di questo nome.

Da tale distinzione semantica sul concetto di malattia si trae l’essenza stessa della relazione di cura tra un professionista e un paziente e si comprende quanto sia complesso quel processo comunicativo – tutto da riorganizzare nella realtà ospedaliera italiana – che risponde al nome di consenso informato. Un particolare modo di accostarsi al consenso informato è rappresentato dal distinguere quello “fondato sul processo” o process-based, da quello più tipico e diffuso, “fondato sull’evento” o event-based, fatto cioè di moduli incomprensibili e firme inconsapevoli da parte del paziente [11-14].

Nel consenso visto come processo si esalta una comunicazione interpersonale e circolare, fatta di continui feedback e omogenea nei contenuti, evitando sovrapposizioni, purtroppo molte volte inevitabili nel contesto ospedaliero tra paziente, familiari, medico ed equipe di cura. Tale processo, anch’esso di natura clinica, oltre che comunicativa ed etico-giuridica, è trasversale rispetto a tutti gli altri processi clinici e percorsi sanitari. Considerando in questo modo il consenso informato, si può tentare di oltrepassare l’attuale steccato legale ancorato al modulo cartaceo che realmente non tutela né i diritti soggettivi di cura e informazione del paziente né la funzione sociale e costituzionale implicata nella stessa professione di sanitario [11-14].

La logica legale eccessivamente astratta rispetto alla tutela dei diritti del malato – essendo in concreto poco attenta al contesto operativo – si ingessa nella inerenza con il singolo atto medico, riassumendolo in poche o eccessive informazioni unilaterali, non rappresentative di una relazione necessaria tra medico, equipe di cura e paziente afflitto dai suoi mali complessivamente considerabili.

Secondo un nuovo modo di osservare e applicare il consenso informato al contesto ospedaliero, l’alleanza di cura diventa connotazione imprescindibile di una relazione e di una concreta alleanza decisionale allargata a più soggetti variamente coinvolti nel contrastare la malattia. Pertanto, la relazione di cura allargata a tutti quegli operatori sanitari che interagiscono con il paziente lungo il percorso di cura dovrebbe trovare la sua sintesi comunicativa omogenea e coerente da un lato con il dissipare i dubbi del malato, dall’altro con il fornire elementi decisionali cruciali per una decisione diagnostico-terapeutica realmente condivisa. Questo intento operativo trova contemperamento in un’equipe di cura focalizzata non solo su un dialogo tecnico ma anche sulla creazione negoziale di un contesto decisionale appropriato sul da farsi in termini di cura.

Un tale contesto in ospedale deve essere costituito anche da un linguaggio aperto e “a-tecnico”, da luoghi adatti ad agevolare tale reciproca comunicazione e da momenti strutturati di pura disponibilità comunicativa, gravanti su un personale sanitario formato e predisposto ad accogliere opportunamente le concrete esigenze emotive sia del paziente che di coloro che con lui lottano quotidianamente contro la malattia. Diversamente, il tipico consenso informato realizzato in senso burocratico non potrà che moltiplicare il rischio di tramutare un delicato momento di assistenza in un distruttivo campo di battaglia legale. L’assoluta noncuranza degli aspetti emotivi del paziente, infatti, amplifica enormemente le opportunità di contenzioso giudiziario nei riguardi della classe medica per innesco dell’evento avverso.

In un processo di comunicazione-relazione che rappresenta l’essenza di un autentico consenso informato non può tra l’altro essere tralasciato l’aspetto della cosiddetta “comunicazione interna”, che è idonea a contestualizzare tale istituto etico e legale in fattiva operatività ospedaliera.

La comunicazione da parte del paziente in merito al proprio punto di vista sulla malattia che lo coinvolge in toto come persona è elemento trasversale di raccordo da dover valutare nei differenti percorsi clinici in cui viene ad intrecciarsi l’attività di assistenza sanitaria. Tali percorsi, pertanto anche di natura comunicativa, abbracciano il paziente e i suoi congiunti dall’ingresso in Ospedale fino alla sua auspicabile guarigione o alle successive fasi riabilitative e assistenziali da dover comunque anche garantire al di fuori del contesto operativo ospedaliero [12,15-18].

Nella visione di un rapporto comunicativo paziente-centrico, su cui attivare un complessivo processo di consenso informato e di alleanza terapeutica, il fatto di poter contare solo sulla buona volontà del singolo medico specialista o del singolo infermiere non ha attualmente alcun senso di esistere. I percorsi clinico-assistenziali tra loro intrecciati utilizzano personale sanitario preparato ad implementare singole e specifiche azioni sia dal lato clinico che dal lato organizzativo. A tutto ciò si deve poter coniugare una fondamentale comunicazione anch’essa omogenea, efficace ed umana in quanto rivolta al paziente bisognoso di cure e attenzioni. In tale intreccio di attori coinvolti nel processo comunicativo, il paziente proattivo e informato condivide la proposta diagnostico-terapeutica del medico e, nondimeno, deve essere posto nella condizione reale di poterla espressamente rifiutare, purché a ragion veduta e in base ad argomentazioni appropriate che ha precedentemente condiviso con gli operatori che si occupano della sua presa in carico [11,12].

In base all’illustrazione e all’ascolto da parte del medico, nonché all’utilizzo di specifici strumenti che aumentano l’efficacia della comprensione di argomenti tecnicamente più complessi, il paziente può esprimersi in modo autonomo sull’agire clinico che dovrebbe contrastare la sua patologia e restituirgli salute e benessere [12,16].

Il processo comunicativo a cui ci riferiamo parlando di consenso informato trova i suoi fondamentali contenuti nelle evidenze scientifiche più accreditate, come pure nella stessa esperienza del medico che si deve amalgamare con specifiche competenze comunicative, frutto di specifica formazione e non di improvvisazione [19-21]. Il medico si ritrova spesso a comunicare con il paziente su prospettive di rischio clinico connesse a diverse opzioni di trattamento [22-27]. Queste, per poter essere prospettate ai pazienti e costituire fulcro di una decisione condivisa definita consenso informato, meritano un’analisi organizzativa strutturata e un’esperienza sul campo, tanto quanto l’attività diagnostico-terapeutica in senso stretto.

Concepita in tal modo, la comunicazione sanitaria a tutto tondo, e il consenso informato in particolare, richiedono una declinazione operativa di “processo comunicativo-relazionale”, che preclude ogni spazio al paternalismo medico, già da anni anacronistico oltre che privo di un qualunque fondamento etico, deontologico e legale nella professione sanitaria [28].

Consenso informato e mediazione in sanità

Nel precedente paragrafo abbiamo rilevato come un reale processo comunicativo-relazionale tra medico, equipe di cura e paziente rappresenti il fondamento per la realizzazione di un valido consenso informato in sanità. In questo paragrafo, ci focalizzeremo sulla bi-direzionalità esistente tra il processo di consenso informato e lo strumento di giustizia alternativo della mediazione applicata ai conflitti sanitari. Tale “bi-direzionalità” si nutre per entrambi gli istituti giuridici qui considerati dell’elemento “fiducia” (Figura 1). Mentre nel consenso informato la fiducia è frutto del dialogo e dell’ascolto tra il medico, l’equipe di cura e il paziente (effetto costitutivo), nella mediazione essa rappresenta invece l’elemento cruciale da ricomporre (effetto riparativo).

img_04_01.jpg

Figura 1. Bi-direzionalità tra consenso informato e mediazione in sanità

Di fatto, se e in quanto mai esistita fra gli stessi attori della relazione di cura, la fiducia subisce inevitabilmente una battuta d’arresto per effetto di un evento avverso, che a sua volta è da ritenere sempre probabile nel suo verificarsi quale conseguenza dell’esecuzione di un atto medico invasivo o rischioso. Nella nefasta ipotesi di evento avverso, la preventiva comunicazione del rischio clinico al paziente, poi materializzatosi in un danno concreto alla sua persona, poco toglie alla sopracitata frattura della relazione che ordinariamente dovrebbe essere instaurata mediante un adeguato processo di consenso informato.

L’evento avverso – o infausto secondo la terminologia tecnica più in voga nella giurisprudenza italiana – oltre a rappresentare un’evenienza ineliminabile di rischio clinico è sempre causa di conflitto sanitario e input legale nella maggior parte dei contenziosi giudiziari in materia sanitaria. Contenziosi giudiziari che assommano oramai in se stessi tanto l’accertamento della cosiddetta “colpa medica” quanto quello sul mancato o inadeguato consenso informato relativo all’atto medico che proprio nella sua concreta esecuzione può costituire fonte di evento avverso ai danni del paziente.

Rispetto al conflitto sanitario riconducibile all’evento avverso, la mediazione assolve ad un ruolo di autentica trasformazione e integrazione del medesimo conflitto [6]. Tramite la mediazione, infatti, si possono analizzare e gestire premesse fattuali degne di accertamento giudiziale, e non solo, non trascurando il rispetto di una tempistica consona al caso da gestire e al costo che per singola procedura è da ritenersi notevolmente più contenuto a confronto con tempi e costi prospettati alle parti interessate innanzi alla giurisdizione ordinaria.

Tra le premesse fattuali da valorizzare in modo specifico nell’ambito di una procedura di mediazione sanitaria, riconosciamo un ruolo essenziale al rapporto fiduciario che solo un processo comunicativo ben gestito ed effettivo di consenso informato può costruire nell’ambito delle differenti Unità Operative Ospedaliere e soprattutto tra gli stessi attori della relazione di cura. La mediazione in sanità è senz’altro lo strumento operativo più idoneo al tentativo di riallacciare una comunicazione che già a suo tempo deve essere stata intrecciata fra le stesse parti della relazione di cura con una tempistica adeguatamente anteriore al verificarsi dell’evento avverso [29,30].

Ne consegue che anche mediante tale procedura extra-giudiziaria sia possibile imbastire processi di negoziazione fondati sui medesimi “interessi ad agire” che processualmente hanno rilevanza per proporre azioni giudiziarie sanitarie, sia nella tipologia individuale che in quella collettiva (class action) [31]. In più, sempre con la mediazione, possono essere vagliati e negoziati tra le parti e grazie all’aiuto del mediatore soluzioni “riparative” aventi natura puramente emozionale nel conflitto sanitario [32-34].

L’evento avverso scaturito dall’atto medico autorizzato dal paziente è in grado, il più delle volte, di riportare in superficie “interessi” degni di valore personale e relazionale, ma sostanzialmente privi di potenziale tutela processuale. Pertanto, tali interessi diventano una formidabile leva negoziale all’interno di un procedimento di mediazione, solo e soltanto se precedentemente abbiano costituito oggetto di effettiva analisi e valutazione condivisa tra medico e paziente in un pregresso processo di consenso informato.

In questo senso, tale processo comunicativo è, al pari di tutti i processi clinici, elemento organizzativo che merita di essere formalizzato e facilitato nell’ambito di specifiche politiche e procedure aziendali a cui tutti i dipendenti ASL devono attenersi nell’esercizio delle loro funzioni sanitarie [35]. La mediazione, quindi, è anche strumento efficace di gestione dei conflitti nella misura in cui, però, vada a riallacciarsi ad un rapporto comunicativo reale e pregresso che intorno all’atto medico deve essersi realmente concretizzato tra le parti della relazione di cura.

È interessante qui notare il legame tra consenso informato e mediazione sanitaria, nella misura in cui il paziente si fida di un medico che effettivamente e genuinamente lo coinvolge nelle decisioni di cura relative alla propria salute. In tale evenienza, la fiducia tra le parti si pone quale filo relazionale che – pur troncato da eventi avversi – lascia sempre un segno positivo indelebile sul piano emotivo, che può riemergere tra le stesse parti in sede di mediazione. Tutto ciò non è, al contrario, ipotizzabile in un contesto competitivo di giustizia ordinaria, essendo quest’ultima improntata sulla ricerca di una responsabilità legale e di una colpevolizzazione sia sul piano penalistico che risarcitorio.

Pertanto, nella malaugurata ipotesi in cui mancasse un reale coinvolgimento comunicativo-relazionale riferibile al processo di consenso informato, alla mediazione obbligatoria non si potranno attribuire funzioni di apertura ex novo di un canale comunicativo mai instaurato tra gli stessi soggetti della relazione di cura. In altri termini, nessun mancato processo comunicativo volto a coinvolgere il paziente in un percorso di cura può essere rimpiazzato da un successivo processo comunicativo che assolve ad una diversa funzione riparativa e non certo costitutiva di una relazione decisionale come quella a cui tende il consenso informato.

Conclusioni

L’instaurazione della relazione umana per effetto di un consenso informato organizzato quale vero e proprio processo comunicativo-relazionale ha lo scopo di coinvolgere attivamente il paziente in un percorso di cura che lo interessa fortemente in quanto volto a ripristinare la sua stessa condizione di salute compromessa dalla malattia. La mediazione obbligatoria in sanità può rendersi utile per riallacciare il menzionato rapporto di cura sul quale si è venuto a innestare un conflitto causato da un evento avverso sempre possibile quando ci si confronta con un atto medico o assistenziale fondato necessariamente sul fattore umano.

La comunicazione integrata tra equipe di cura e paziente nella specifica contingenza della malattia può creare, aldilà della differente funzione assolta dai due processi comunicativi presi in esame, le premesse fiduciarie per ricomporre un rapporto interpersonale che – una volta creato – può essere accidentalmente interrotto anche a causa di circostanze casuali non sempre prevedibili e imputabili a qualcuno [7].

Al contrario, la presenza di un reale consenso informato tra le parti di una relazione di cura può essere disincentivante rispetto agli stessi interessi personali e patrimoniali di un paziente vittima di malpractice [7]. Questi, infatti, sentendosi oltraggiato, solo attraverso lo strumento extra-processuale potrà avanzare pretese riparatorie, oltreché patrimoniali anche di natura relazionale e quindi prive di rilevanza giuridica (ad esempio, delle semplici ma sentite scuse tra due esseri umani).

Ultimo aspetto da dover considerare parlando della bi-direzionalità degli istituti giuridici qui esaminati è dato dalla funzione educativa e formativa per i professionisti sanitari coinvolti nella procedura di mediazione. Questi partecipano alla valutazione di fatti ed emozioni vissuti insieme al paziente danneggiato e ai suoi cari chiamati a fornire le loro considerazioni [11-13]. In tale contesto, il fatto di confrontarsi con le emozioni ferite di un paziente oltraggiato dall’evento avverso lascia certamente segni emotivi e conoscitivi di una realtà molto più complessa e significativa. Questa realtà può motivare gli stessi professionisti sanitari a formarsi in modo attento e approfondito sugli aspetti valoriali, sulle tecniche e sugli strumenti necessari per la realizzazione di un autentico consenso informato process-based nella comunicazione medico-paziente. Tutto ciò può e deve avvenire, in un’organizzazione sensibile a questi temi, secondo un circolo virtuoso che si auto-alimenta e che crea un rinnovato benessere per i medici quanto per i pazienti nella loro inscindibile relazione di cura.

Bibliografia

  1. Roberti A, Belotti C, Caterino L. Comunicazione medico-paziente. Urgnano: Alessio Roberti Editore, 2006
  2. Watzlawick P, Beavin Bavelas J, Jackson DD. Pragmatics of human communication. A study of interactional patterns, pathologies and paradoxes. New York, London: W.W. Norton & Company, 1967
  3. Radley A, Cheek J, Ritter C. The making of health: a reflection on the first 10 years in the life of a journal. Health (London) 2006; 10: 389-400; http://dx.doi.org/10.1177/1363459306067309
  4. Radley A. Abhorrence, compassion and the social response to suffering. Health (London) 1999; 3: 167-87; http://dx.doi.org/10.1177/136345939900300203
  5. Radley A. Making sense of illness: the social psychology of health and disease. London: Sage Publications, 1994, pp. 232
  6. Giannico B (ed). La mediazione civile tra “fare e agire”. Interventi di Moroni E, D’Alessandro M, Zampedri F, De Stefano G, Quattrocolo A, Sticco V, Giannico B. Caserta: Giuseppe Vozza Editore, 2011
  7. Shapiro RS, Simpson DE, Lawrence SL, et al. A survey of sued and nonsued physicians and suing patients. Arch Intern Med 1989; 149: 2190-6; http://dx.doi.org/10.1001/archinte.1989.00390100028008
  8. Suva D, Haller G, Hoffmeyer P. Patient information and informed consent in orthopaedic surgery: is it possible? Rev Med Suisse 2011; 7: 2475-7
  9. Rathor MY, Rani MF, Shah AM, et al. Informed consent: a socio-legal study. Med J Malaysia 2011; 66: 423-8
  10. FRO Faculty of Radiation Oncology. Guidelines for informed consent, version 2. The Royal Australian and New Zealand College of Radiologists. July 2010. Disponibile online su: http://www.ranzcr.edu.au (ultimo accesso: maggio 2014)
  11. Recchia V, Dodaro A, Braga L. Event-based versus process-based informed consent to address scientific evidence and uncertainties in ionising medical imaging. Insights Imaging 2013; 4: 647-53; http://dx.doi.org/10.1007/s13244-013-0272-6
  12. Dodaro A, Recchia V. Inappropriateness in ionizing imaging. The central node of the informed consent: from “event” model to “process” model. Recenti Prog Med 2011; 102: 421-31
  13. Dodaro A. Clinical appropriateness and informed consent in the Italian hospitals. Juridical problems and safeguard of patient’s and physician’s rights. Recenti Prog Med 2011; 102: 296-301
  14. Lidz CW, Appelbaum PS, Meisel A. Two models of implementing informed consent. Arch Intern Med 1988; 148: 1385-9; http://dx.doi.org/10.1001/archinte.1988.00380060149027
  15. Semelka RC, Armao DM, Elias J Jr, et al. The information imperative: is it time for an informed consent process explaining the risks of medical radiation? Radiology 2012; 262: 15-8; http://dx.doi.org/10.1148/radiol.11110616
  16. Terranova G, Ferro M, Carpeggiani C, et al. Low quality and lack of clarity of current informed consent forms in cardiology: how to improve them. JACC Cardiovasc Imaging 2012; 5: 649-55; http://dx.doi.org/10.1016/j.jcmg.2012.03.007
  17. Picano E. Informed consent and communication of risk from radiological and nuclear medicine examinations: how to escape from a communication inferno. BMJ 2004; 329: 849-51; http://dx.doi.org/10.1136/bmj.329.7470.849
  18. Picano E. Sustainability of medical imaging. BMJ 2004; 328: 578-580; http://dx.doi.org/10.1136/bmj.328.7439.578
  19. Christie DR. Do written consent forms provide medicolegal protection from litigation in radiotherapy? Australas Radiol 2004; 48: 353-7; http://dx.doi.org/10.1111/j.0004-8461.2004.01318.x
  20. Marks P. The evolution of the doctrine of consent. Clin Med 2003; 3: 45-7; http://dx.doi.org/10.7861/clinmedicine.3-1-45
  21. Edwards A, Elwyn G. Understanding risk and lessons for clinical risk communication about treatment preferences. Qual Health Care 2001; 10 (Suppl 1): i9-i13; http://dx.doi.org/10.1136/qhc.0100009
  22. Hoffman FO, Kocher DC, Apostoaei AI. Beyond dose assessment: using risk with full disclosure of uncertainty in public and scientific communication. Health Phys 2011; 101: 591-600; http://dx.doi.org/10.1097/HP.0b013e318225c2e1
  23. Klein WM, Stefanek ME. Cancer risk elicitation and communication: lessons from the psychology of risk perception. CA Cancer J Clin 2007; 57:147-67; http://dx.doi.org/10.3322/canjclin.57.3.147
  24. Fagerlin A, Ubel PA, Smith DM, et al. Making numbers matter: present and future research in risk communication. Am J Health Behav 2007; 31 (Suppl 1):S47-56; http://dx.doi.org/10.5993/AJHB.31.s1.7
  25. Roach P, Marrero D. A critical dialogue: communicating with type 2 diabetes patients about cardiovascular risk. Vasc Health Risk Manag 2005; 1:301-7; http://dx.doi.org/10.2147/vhrm.2005.1.4.301
  26. Sedgwick P, Hall A. Teaching medical students and doctors how to communicate risk. BMJ 2003; 327: 694-5; http://dx.doi.org/10.1136/bmj.327.7417.694
  27. Lipkus IM, Hollands JG. The visual communication of risk. J Natl Cancer Inst Monogr 1999; 25: 149-63; http://dx.doi.org/10.1093/oxfordjournals.jncimonographs.a024191
  28. Graham PH. Re: faculty of radiation oncology endorsed guidelines for informed consent: risk description. J Med Imaging Radiat Oncol 2010; 54: 512; http://dx.doi.org/10.1111/j.1754-9485.2010.02205.x
  29. Derèse MN. Mediation in the Belgian health care sector: analysis of a particular issue--the material scope of application of mediation. Med Law 2011; 30: 225-37
  30. Epstein NE. It is easier to confuse a jury than convince a judge: the crisis in medical malpractice. Spine (Phila Pa 1976) 2002; 27: 2425-30; http://dx.doi.org/10.1097/00007632-200211150-00002
  31. U.S. Court of Appeals, First Circuit. Planned Parenthood League of Massachusetts v. Bellotti. Fed Report 1989; 868: 459-73
  32. Sohn DH. Negligence, genuine error, and litigation. Int J Gen Med 2013;6: 49-56; http://dx.doi.org/10.2147/IJGM.S24256
  33. Sohn DH, Bal BS. Medical malpractice reform: the role of alternative dispute resolution. Clin Orthop Relat Res 2012; 470: 1370-8; http://dx.doi.org/10.1007/s11999-011-2206-2
  34. Klein CA, Klein AB. Alternative dispute resolution part 2: mediation. Nurse Pract 2008; 33: 13-4; http://dx.doi.org/10.1097/01.NPR.0000309093.12012.72
  35. Dekking SA, van der Graaf R, van Delden JJ. Strengths and weaknesses of guideline approaches to safeguard voluntary informed consent of patients within a dependent relationship. BMC Med 2014; 12: 52; http://dx.doi.org/10.1186/1741-7015-12-52

Refback

  • Non ci sono refbacks, per ora.


Copyright (c) 2014