PM&AL 2014;8(4)113-119.html

Gli aspetti medico legali nell’ambito della medicina specialistica ambulatoriale con attenzione alla branca di oculistica

Carmela Sapuppo 1

1 Oculista, specialista ambulatoriale interno, Inail Sede Provinciale di Palermo-Enna, Asp6, Palermo

Abstract

Over the centuries cultural and social changes have led to a substantial change in the rules of the medical profession and in the rules governing medical liability, with profound changes in the way we think about the medicine, the figure of the doctor, the patient and their relationship. Initially the focus of medicine has been the disease, then the doctor and, finally, the patient. This article will briefly summarize the main aspects of this change, focusing especially on the informed consent, the physician's professional responsibility and the burden of proof.

Keywords: Doctor centred medicine; Patient centred medicine; Informed consent; Medical liability

Medico-legal issues of outpatient care, with a focus on ophthalmology

Pratica Medica & Aspetti Legali 2014; 8(4): 113-119

http://dx.doi.org/10.7175/PMeAL.v8i4.959

Corresponding author

Carmela Sapuppo

c.sapuppo@inail.it

Disclosure

L’autore dichiara di non avere conflitti di interesse di natura finanziaria in merito ai temi trattati nel presente articolo

Premessa

Negli ultimi decenni abbiamo assistito ad una modifica sostanziale delle regole preposte all’esercizio della professione medica e delle norme che disciplinano la responsabilità medica. Questo mutamento è stato favorito dalle trasformazioni culturali e sociali che si sono succedute nel corso dei secoli e che hanno prodotto profondi cambiamenti sul modo di intendere la medicina, la figura del medico, del paziente e il loro rapporto.

Nel secolo XVII nasceva, con il concetto di “uomo macchina” di Cartesio, il modello di medicina bio-medico. Il corpo diviso dallo spirito, cioè disumanizzato, è studiato secondo meccanismi di causa-effetto che si presentano in modo costante, per cui è possibile anticipare nel malato alcuni eventi patologici [1-4] e studiare in modo più analitico la malattia. La malattia inizia ad assumere un ruolo sempre più rilevante, tanto che nei secoli successivi, si sviluppa il nuovo concetto di medicina centrata sulla malattia -“disease centred”.

La malattia, vera protagonista, è studiata attraverso il metodo scientifico oggettivo e ripetibile e con studi autoptici e con la biologia. L’osservazione e l’esperienza diventano per il medico di primaria importanza per conoscere meglio la malattia, i suoi segni, i sintomi, le alterazioni dei vari organi, e ciò gli permette di combattere la malattia con i metodi più efficaci.

Nel Novecento, con il progredire della tecnologia e delle nuove terapie farmacologiche, nasce l’idea di “prova scientifica”. La malattia viene studiata attraverso le prove scientifiche e la ripetibilità degli esperimenti permette l’eliminazione del soggettivismo per chi è trattato e per chi cura.

Il medico, vero protagonista, diventa l’unico conoscitore della malattia, l’esperto accreditato nella cura, segue una metodologia nota solo a lui, analizza i segni, i sintomi della malattia sulla base delle sue conoscenze, utilizza eventualmente indagini diagnostiche e prende i relativi provvedimenti richiesti dalla malattia.

Compare così il nuovo concetto di medicina centrata sul medico - “doctor centred -, in cui il paziente, posto sempre in posizione subordinata, è solo portatore della malattia e recettore passivo delle decisioni del medico.

Nella pratica clinica la medicina centrata sul medico si integra con la medicina centrata sulla malattia, seguendo una metodologia “semplice” che può essere “insegnata ed appresa”, cosa che le ha permesso di riscuotere sempre un notevole successo, anche ai nostri giorni.

A partire dalla seconda metà del Novecento a livello mondiale i profondi cambiamenti culturali e sociali della società danno origine a riflessioni sul modo di intendere la salute e la malattia, con le sue conseguenze sulla vita delle persone e sull’ambiente, inteso come l’insieme degli atteggiamenti e dei comportamenti positivi o negativi che la società mette in atto nei confronti della persona malata [2,5].

La medicina centrata sul medico viene accusata di disumanizzazione, ipermedicalizzazione e parcellizazione. Il modello, infatti, comincia a risentire del cosiddetto «fenomeno della controproduttività specifica» di Illich [6], per il quale «se in un qualunque settore si stressano dei punti di forza positivi, delle conoscenze, questi possono divenire negativi, compromettendo quello che di positivo vi era all’origine».

Il dualismo cartesiano, cioè il concetto di uomo macchina con il corpo formato da un aggregato di varie parti da studiare, permette una migliore conoscenza della malattia, ma il suo eccesso, cioè non valutare la mente, la persona, porta alla disumanizzazione, alla parcellizzazione del sapere scientifico e all’iperspecializzazione.

Il paziente, fino ad allora posto in posizione subalterna, diventa parte attiva, con il suo pensiero, i suoi bisogni, le sue preoccupazioni, diventa parte integrante del processo clinico, per cui il medico deve apprendere nuove abilità di relazione e comunicazione, per sviluppare nel suo rapporto con il paziente una comunicazione efficace [7-9].

Contemporaneamente gli studi di Balint [10] ed Engel [11,12] portano al nuovo concetto di medicina centrata sul paziente - “patient centred”.

Engel [12] inoltre sviluppa il modello di medicina bio-psico-sociale, un modello sistemico [13] in cui l’uomo è un sistema complesso formato da parti, o “sistemi” come organi, tessuti, cellule, atomi, e da sistemi sovrastanti: il sistema personale, familiare, sociale, ecc.

Quando l’uomo si ammala, si alterano contemporaneamente le strutture organiche, il sistema psicologico o individuale, l’ambiente sociale e il contesto in cui vive.

Nel paziente la patologia (alterazioni biologiche) e il suo vissuto di malattia, le sue paure, le sue aspettative e i desideri sono a pari merito, la patologia si presenta uguale in tutti i pazienti, ma è possibile differenziare un malato dall’altro perché l’aspetto soggettivo e il vissuto della malattia sono diversi in ogni malato.

Il modello tradizionale disease centred si integra così con il nuovo modello patient centred, e il nuovo modo di intendere i concetti di informazione, di autodeterminazione del paziente e di consenso alla cura determinano così profonde ripercussioni sulla responsabilità professionale del medico.

Gli aspetti medico legali

A. L’informazione, l’autodeterminazione del paziente e il consenso alla cura [14-18]

Informare il paziente è un obbligo, perché da questo deriva il suo consapevole diritto di autodeterminazione. Infatti, se il medico non acquisisce il consenso da parte del paziente viola la sua libertà di autodeterminazione.

A livello internazionale si è molto dibattuto sull’informazione da dare al paziente attraverso tre principali passaggi:

  1. la Convenzione di Helsinki, interessandosi in particolare di ricerca medica su soggetti umani, dichiarava che «il medico deve informare il paziente di quali aspetti della cura sono correlati con la ricerca») [19];
  2. la Convenzione di Oviedo, nell’ambito dei diritti umani e di biomedicina, asseriva che «è necessario fornire una informazione adeguata sullo scopo e sulla natura dell’intervento e sulle sue conseguenze e i suoi rischi» (art. 5, comma 2) [20,21];
  3. la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, nella quale si affermava che «ogni individuo ha il diritto alla propria integrità fisica e psichica» [22].

A livello italiano il problema dell’informazione è stato affrontato in particolare dalla Corte Costituzionale e dal Codice deontologico medico.

La Corte Costituzionale (con sentenza n. 438 del 18.11.2008) stabilisce che «ogni individuo ha il diritto di ricevere le opportune informazioni in ordine alla natura ed ai possibili sviluppi del percorso terapeutico cui può essere sottoposto, nonché delle eventuali terapie alternative; informazioni che devono essere le più esaurienti possibili, proprio al fine di garantire la libera e consapevole scelta da parte del paziente, quindi, la sua stessa libertà personale, conformemente all’art. 32 comma 2, della Costituzione» [23].

Il nuovo Codice di deontologia medica, presentato il 18 maggio 2014, conferma quanto detto nel precedente Codice all’articolo 33, comma 1: «il medico deve fornire al paziente la più idonea informazione sulla diagnosi, sulla prognosi, sulle prospettive e le eventuali alternative diagnostico-terapeutiche e sulle prevedibili conseguenze delle scelte operate».

È importante però approfondire quali siano i migliori e necessari standard d’informazione e il modello informativo da usare nella relazione di cura, che contemporaneamente permettono di escludere la responsabilità penale e civile del medico [24].

Gli ordinamenti angloamericani rispondono affermando che: «l’informazione deve rispondere alle necessità del “paziente medio ragionevole”, per permettergli di adottare determinazioni realmente consapevoli. Il medico deve indicare anche i rischi che una persona nella condizione del paziente concreto vorrebbe conoscere prima, al fine di decidere se sottoporsi o meno alla terapia» (In Gran Bretagna il medico deve dare informazioni solo per rischi >10%).

In Italia, il già citato articolo 33 del Codice deontologico medico sostiene che: il medico deve «dialogare secondo le capacità di comprensione dell’interlocutore e soddisfare ogni ulteriore richiesta di informazione da parte del paziente».

Pertanto, è dovere del medico “diligente”:

  • fornire informazioni numerose e approfondite per soddisfare il bisogno di conoscenza del “paziente medio”. Il trattamento deve essere illustrato con parole appropriate al livello intellettuale e culturale del paziente, per eliminare nel suo interesse incertezze e perplessità con lo scopo di acquisire il consenso che, unico, renderà possibile l’attuazione della prestazione [17]1;
  • informare sui rischi prevedibili e non sugli esiti anomali, fortuiti o irrilevanti che potrebbero spingere il paziente a non sottoporsi anche a banali interventi;
  • informare il paziente di rischi, anche in percentuale ridotti, che possano incidere gravemente sulle sue condizioni fisiche o addirittura sul bene supremo, cioè la vita.

È da precisare che «il consenso è implicito nei trattamenti di normale impegno mentre deve essere esplicitato dal paziente nei trattamenti più complessi, impegnativi o pericolosi, e solo questo in questi casi legittimerà l’opera del medico» [17].

Infine, l’informazione/consenso è attuale, cioè riguarda la situazione presente non la futura.

Anche lo specialista ambulatoriale ha il dovere d’informare in maniera efficace il paziente per ricevere il consenso al trattamento, che legittimerà la sua opera.

In particolare, per la branca di oculistica, l’informazione e il consenso sono particolarmente importanti quando devono essere impiegate tecniche chirurgiche avanzate o mezzi d’indagine sofisticati che possono determinare rischi per il paziente.

Invece, interventi ambulatoriali come la tonometria ad applanatio, l’esame del fondo oculare con istillazione del midriatico, l’esame con lente di Goldmann, sono da considerare trattamenti di normale impegno per i quali il consenso è implicito.

In questo caso, per lo specialista è conveniente descrivere le pratiche mediche che si vanno effettuando mentre si sta visitando il paziente.

Nel caso in cui il paziente non acconsenta ad una pratica medica, se si è in disaccordo, è bene appuntarlo in cartella e fare apporre la firma al paziente.

In conclusione nella pratica ambulatoriale “diligente”:

  • il consenso informato legittima l’atto medico;
  • l’informazione/consenso è attuale.

Inoltre, il consenso del paziente è:

  • esplicito nei trattamenti più complessi, impegnativi o pericolosi;
  • implicito nei trattamenti di normale impegno (tonometria ad applanatio, esame fondo oculare in midriasi, esame con L. di Goldmann, cure di routine, farmaci noti).

B. La responsabilità professionale del medico [15-17,25,26]

La responsabilità professionale nel senso etimologico del termine, cioè avere coscienza del proprio comportamento, dei propri impegni obblighi, è insita nell’attività del medico, cioè di colui che è abilitato alla cura.I cambiamenti che si sono susseguiti nel tempo non hanno riguardato l’etimologia del termine, quanto il modo di intendere la responsabilità professionale del medico.

Il progresso tecnologico, enfatizzato dai media, che stimola nel paziente aspettative di cura a volte non raggiungibili, il rifiuto nella nostra cultura della malattia e della morte, la salute intesa come «stato di completo benessere fisico, psicologico e sociale» hanno generato nella società attese che vanno oltre le possibilità della medicina, per cui quando le attese non sono soddisfatte spesso si ritiene che l’operato del medico sia errato.

Proprio per questo si assiste all’aumento dei contenziosi e dell’uso della medicina difensiva: il medico vede il paziente non più come la persona che deve curare, ma come eventuale origine di querele o richieste risarcitorie per supposte colpe nella sua attività professionale.

Allo stato attuale la responsabilità medica trova la sua codificazione in quanto disposto dall’art. 2043 del Codice civile: «qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno».

Per il particolare incarico che il medico assume nei confronti del paziente, e dato che anche il Diritto riconosce che in medicina non esistono certezze, «ogni atto medico è sperimentazione in rapporto al patrimonio biochimico peculiare ed alla reattività tipica di ciascun individuo» [17].

Pertanto, il contratto che si istaura tra medico e paziente è un contratto di mezzi e non di risultato (obbligazione di mezzi e non di risultato): infatti l’obbligo del medico non è la guarigione o l’esito chirurgico prefissato, perché esistono variabili biologiche, eventi e/o fattori esterni imprevedibili che possono intromettersi al di fuori della volontà del prestatore d’opera.

Per raggiungere lo scopo la prestazione professionale deve essere svolta utilizzando «i mezzi tecnici astrattamente e normalmente più idonei alla natura dell’incarico ed alle aspirazioni del cliente» [17].

L’onere della prova ricade sul medico che, se non esegue esattamente la prestazione dovuta, deve risarcire il danno, salvo che non provi che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da causa a lui non imputabile (art. 1218 c.c.).

Ultimatamente su questo argomento si sono avuti dei cambiamenti con l’introduzione nel 2012 della cosiddetta legge Balduzzi [27].

Numerosi autori e varie sentenze (ultima la sentenza del Tribunale di Milano, sez. I civile del 17 luglio 2014 [28]) si sono interessati di questa legge e della sua interpretazione in merito al tipo di contratto medico/paziente, all’onere della prova e alla prescrizione: per la complessità del tema si rimanda alla letteratura specifica [29-33].

L’obiettivo nel rapporto tra il medico e il paziente è la tutela della salute. Infatti, come afferma l’articolo 2, comma 2 della Carta costituzionale italiana, «il medico nel praticare la sua professione sanitaria secondo scienza e coscienza persegue come fine la cura del malato, utilizzando i presidi diagnostici e terapeutici di cui dispone la scienza medica, con il solo limite del rigoroso rispetto del diritto del malato a decidere liberamente e consapevolmente dei trattamenti sanitari cui sottoporsi”.

La responsabilità civile medica è codificata, come già ricordato, dall’art. 2043 c.c.:«qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno»; pertanto esiste responsabilità colposa se il medico per negligenza o imprudenza o imperizia ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline cagiona senza volerlo un danno ad un paziente (Tabella I).

Negligenza

Quando l’operato del medico è viziato da inescusabili trascuratezze (disattenzione, superficialità, dimenticanza)

Imprudenza

Se il medico agisce utilizzando attività che non è in grado di gestire in maniera adeguata rispetto al suo sapere o esperienza, se agisce con precipitazione o fretta, senza adottare le cautele richieste dal caso clinico e suggerite dalla prudenza

Imperizia

Quando il medico dimostra di non possedere il bagaglio tecnico e le nozioni scientifiche utili nell’attuazione di una prestazione professionale che qualsiasi altro collega di pari livello professionale avrebbe correttamente eseguito trovandosi nella stessa situazione

Tabella I. Alcune possibili cause di responsabilità colposa per il medico

È importante riflettere sul concetto di diligenza, definito come l’esattezza scrupolosa nell’eseguire l’attività professionale [15-17,25,34,35].

La diligenza, infatti, è valutata rispetto alla natura dell’attività esercitata (diligenza qualificata art. 1176 c.c), e deve essere prestata anche nell’uso specifico di metodiche diagnostiche strumentali pre-intra-post intervento (art. 1176 c.c., comma 2°). È iI medico che è tenuto a dimostrare la propria diligenza (art. 1176 c.c.) [15-17,25,36].

Pertanto è essenziale analizzare gli errori e, in particolare, le varie fasi dell’attività medica in cui si possono presentare errori.

Gi errori si distinguono in errori nella fase della diagnosi, della prognosi, della terapia [2].

Nell’ambito specialistico, l’errore nella diagnosi e/o nel ritardo della diagnosi può derivare dalla tendenza ad interpretare le manifestazioni cliniche solo secondo la propria specialità.

Gli errori nella prognosi sono causati da diagnosi errata o incompleta, da errata valutazione dello stadio della malattia, da non valutazione di comorbilità o di fattori di rischio o di sintomi riferiti.

Gli errori nella terapia sono determinati da diagnosi errata o incompleta, da errata valutazione dello stadio della malattia, da mancata osservazione nei controlli successivi la prima visita, da non valutazione di comorbilità o fattori di rischio, da inosservanza delle linee guida, da ritardo nel consigliare un intervento.

Particolare attenzione bisogna prestare agli errori di sistema [36] che «sono conseguenza di errori latenti del sistema in cui il medico opera, dovuti a carenze o difetti organizzativi, tempi di lavoro non rispettati, carichi di lavoro eccessivi, carenze di personale medico e infermieristico, ecc.». In questo caso, dal punto di vista giuridico la responsabilità ricade sul medico e sui soggetti preposti all’organizzazione del sistema.

Dal 2012 con l’introduzione della legge Balduzzi [27] è stata data particolare importanza alle linee guida. Infatti, l’art.3 comma 1° recita: «l’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l’obbligo del risarcimento per danno di cui all’art. 2043 c.c. e il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo (colpa lieve)»

Le linee guida sono importanti per la scelta del medico, determinano ricadute sull’atto medico e si riferiscono alla buona condotta/ perizia del medico [37-44].

Le linee guida sono raccomandazioni di comportamento clinico, elaborate mediante un processo di revisione sistematica della letteratura e delle opinioni scientifiche, al fine di aiutare medici e pazienti a decidere le modalità assistenziali più appropriate in specifiche situazioni cliniche.

Presentano però diversi svantaggi: possono essere elaborate tenendo conto del contenimento della spesa, cioè di problemi economici estranei alla salute del paziente, possono essere usate come scudo di medicina difensiva, sono numerose e a volte è difficile identificare le linee guida da utilizzare come parametro di riferimento per valutare le scelte del medico accusato di negligenza e imperizia.

Infatti, le linee guida non devono essere usate dal medico in maniera acritica, perché il medico è colpevole se decide di seguire linee guida che antepongono ragioni economiche a ragioni di tutela della salute e che sono in contrasto con le esigenze di cura dello specifico paziente.

Questo perché le linee guida hanno un fondamento statistico e il carattere della generalità, per cui possono essere smentite dal quadro clinico concreto del paziente che si sta curando; inoltre sono basate sull’Evidence Based Medicine [45, 46], dove l’asse valutativo-decisionale è centrato più sul medico che sul paziente.

Fondamentale pertanto è il concetto di autonomia decisionale consapevole del medico. Infatti, il medico potrà motivare le ragioni dell’osservanza o del discostamento dalle linee guida se ha utilizzato un processo decisionale consapevole formato sulla base delle sue conoscenza scientifiche e sul caso clinico concreto.

L’osservanza delle linee guida tutela il bene salute: se il bene salute è sacrificato dall’osservanza delle linee guida, allora è necessaria l’inosservanza delle linee guida per tutelare il bene salute.

Conclusioni

In conclusione il medico/specialista diligente deve pensare al paziente come persona, usare la massima diligenza e perizia nell’attività professionale (anamnesi-diagnosi, ecc.), acquisire il consenso alla cura implicito o esplicito secondo i casi (vedi sopra), che legittima l’atto medico rispettando l’autodeterminazione del paziente, compiere nei confronti del singolo paziente scelte consapevoli e usare l’autonomia decisionale consapevole per tutelare la salute del paziente.

Tutto questo può permettere al medico di realizzare il suo vero scopo, cioè la tutela della salute del paziente, passando da un modello di medicina centrata sulla difesa ad un modello di medicina bio-psico-sociale, realmente centrata sul paziente-persona, con un vero rapporto di fiducia tra il medico e il paziente.

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1 Questo è determinante quando il Giudice, in caso di evento grave, ritiene opportuno eseguire un’indagine conoscitiva in merito. Infatti, in caso di mancanza o di inadeguata informazione, potrebbe giudicare la condotta del medico colposa per difetto d’informazione e per vizio di consenso

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